“Non è troppo tardi” per salvare l’ex Ilva ma se le regole europee sulle emissioni inquinanti, frutto di una politica “estremista” e “dissennata”, non cambieranno “è chiaro che si chiude, ma come chiuderanno tutti gli altiforni europei”.
Lo ha detto il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, intervistato in un webinar di Siderweb.
Salvare Acciaierie d’Italia “si può ancora fare ma naturalmente contestualizzando i tentativi di salvataggio e rilancio dell’impianto di Taranto all’interno delle regole europee, che io non condivido, che contesto ma che esistono e che dunque vanno rispettate anche se spero che vengano cambiate”.
Gozzi ha puntato il dito sulla “scomparsa delle quote gratuite per gli altiforni europei con un decalage nel 2027, ’28, ’29 che renderà la produzione da ciclo integrale in Europa completamente non economica”. Per compensare i circa 2 milioni di tonnellate di CO2 generate ogni milione di tonnellate di acciaio prodotto a ciclo integrale “a partire dal 29-30 bisognerà pagare 200 milioni di euro”. “Per l’Ilva, che dovrebbe produrre da piano industriale 6 milioni di tonnellate di acciaio “significa 1,2 miliardi di euro all’anno di quote di CO2”.
“E’ chiaro che si chiude ma come chiuderanno tutti gli altiforni europei, l’Europa, non so se coscientemente o incoscientemente, ha adottato una misura che rappresenta un ulteriore grave colpo per l’industria dell’automotive” che dovrà comprare l’acciaio per le carrozzerie “probabilmente dall’Asia, creando una nuova dipendenza strategica”. “Questo – ha concluso Gozzi – è quello che è successo negli ultimi anni per una politica estremista, dissennata che non ha fatto alcun calcolo di convenienza economica e che ha preso il green deal non come un programma come decarbonizzazione razionale e pragmatico ma come un feticcio ideologico”.
Gozzi, ‘da un’Ilva green 6 milioni di tonnellate di acciaio’
Rilanciare in chiave green l’ex Ilva “ci porterebbe ad avere 5,5-6 milioni di tonnellate di acciaio decarbonizzato” l’anno, “non sarebbe l’Ilva da 10 milioni di tonnellate ma sarebbe un impianto vivo, sostenibile, in linea con le indicazioni di decarbonizzazione dell’Unione europea”. Lo ha detto il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, nel corso di un webinar di Siderweb.
“L’idea che è percorribile è quelle di salvare con un revamping abbordabile dal punto di vista economico gli altiforni minori di Taranto, l’1, il 2 e il 4 ed utilizzarli fino al 2029 con la loro quota di CO2” e “nel contempo realizzare due impianti collegati a forni elettrici ad arco sommerso”.
Gozzi, ‘l’ex Ilva privata senza debiti e decarbonizzata
“Credo che ci sia anche un dovere nazionale dei siderurgici di aiutare il Paese in un momento di così grande difficoltà, però bisogna fare le cose con il buon senso e non suicidarsi attraverso l’Ilva”, ha detto il presidente di Federacciai e Duferco, intervenuto a un webinar di Siderweb.
Gozzi ha invocato un intervento dello Stato sul modello di quanto fece l’ex presidente degli Usa, Barak Obama, con la Chrysler, rilanciata attraverso la fusione con Fiat. “Quel modello spiega come sistemi economici di mercato e non tacciabili di statalismo come gli Usa in determinati momenti, rispetto ad obiettivi strategici, garantiscano una presenza transitoria dello Stato”.
Lo Stato italiano dovrebbe dunque “garantire investimenti per la decarbonizzazione, così come stanno facendo francesi e tedeschi con le loro siderurgie”, ha detto Gozzi, ricordando i 2,5 di aiuti della Germania a Thyssenkrupp e gli 1,8 miliardi promessi dalla Francia a Mittal. “Francamente non si capisce per quale motivo se francesi e tedeschi, che ragionano più strategicamente, lo fanno, l’Italia non possa fare la stessa cosa”. “Una volta che l’impianto ha realizzato il piano industriale di decarbonizzazione”, se “sostenibile e viabile”, Acciaierie d’Italia “può ritornare ad essere privata”.
Ma perché dei privati possano riavvicinarsi a Taranto “occorre fare chiarezza sui punti oscuri: non si conosce l’ammontare complessivo dei debiti di Acciaierie d’Italia”, debiti “verso l’indotto e i fornitori di energia” che “non si può chiedere che siano i privati che entrano a pagare, perché quella è un eredità che si deve gestire lo Stato, facendo attenzione all’indotto”.
Inoltre “bisogna fare una due diligence sugli impianti” sui quali, da quando sono stati espropriati alla famiglia Riva, “non sono stati fatti interventi di manutenzione straordinaria” e sui quali gli ex proprietari spendevano invece 350 milioni all’anno.
“La sensazione è che lo stato non sia buono ed è inevitabile che sia così perché in 12 anni questi impianti hanno avuto pochissimi investimenti. Bisogna capire lo stato degli impianti per fare un piano industriale e portare in linea l’efficienza e la qualità produttiva”.