Nella decarbonizzazione della produzione dell’acciaio, “la parte scientifica ed economica devono andare in parallelo”. Lo ha detto oggi a Taranto, in un seminario aziendale sulla decarbonizzazione, l’amministratore delegato di Acciaierie d’Italia, ex Ilva, Lucia Morselli, a proposito della doppia sostenibilità del processo, ovvero quella economica accanto a quella ambientale. “Ci sono dei Paesi, Francia e Germania, che stanno dando risposte alla mia domanda:
chi paga il conto? In questi Paesi – ha rilevato Morselli -, non è una risposta definitiva ma ci sono delle indicazioni abbastanza precise su chi pagherà il conto. Dobbiamo fare lo stesso. Io non credo molto all’Europa, anche perché non si vede. O perlomeno non la vedo e non riesco a crederci. Poi magari sono io che non la vedo. Se c’è, ci dica qualcosa. Per ora non ci ha detto niente. Allora penso – ha aggiunto l’ad di Acciaierie d’Italia – che gli Stati, come accade in grandi Stati europei, debbano intervenire e anche l’Italia deve fare il suo ruolo, altrimenti le decarbonizzazioni si fanno scientificamente perfette ma sono piccole, piccole. Sono dei piccoli microbi.
Sono quasi come il mezzo milione di tonnellate di produzione di qualche impianto visto primo, ma rimangono così. Noi abbiamo l’obiettivo di arrivare a 2 milioni. Ma temo che si arrivi poi lì e basta – ha proseguito Morselli a proposito dei 2 milioni di tonnellate di acciaio decarbonizzato che l’ex Ilva dovrà fare in futuro – perché se questi 2 milioni non dovessero ripagarsi, il processo finale di conversione all’idrogeno, quello del 2050, potrebbe avere qualche problema”. Secondo Morselli, “il processo scientifico e tecnologico credo che sia ormai molto solido, consolidato, c’è un leit motiv comune. Noi operatori economici dobbiamo lavorare perché venga risolto il problema del finanziamento di questi sforzi”. “Quando si fanno queste rivoluzioni e credo che la produzione di acciaio sia riconosciuta come un delle giù grandi rivoluzioni mondiali, forse confrontabile a quella dell’elettricità, bisogna che questo livello di rivoluzione sia voluto, sostenuto, dalle grandi istituzioni. Non si possono fare queste rivoluzioni senza la potenza, la determinazione e anche, lasciatemi dire, la semplicità operativa di un potere forte come quello delle istituzioni”