Spesso pensiamo che il tempo sia la soluzione per ogni cosa: che aggiusti o peggiori le circostanze o che, semplicemente, ci riveli qualcosa.
E’ il punto di partenza di “A nave camina e a’ fave se coce”, commedia partorita dall’estro dell’autore tarantino Aldo Salamino, rappresentata con successo dalla Compagnia teatrale di Lino Conte, sabato 7 e domenica 8 gennaio, sul palco dell’Auditorium Tarentum.
Nonostante il maltempo, lo spettacolo ha radunato un pubblico notevole grazie ad una trama esilarante ed innovativa, piena di divertimento e originalità. A partire dalla scena iniziale: non ci sono salotti o piazze, ma una nave da crociera della compagnia “Costa Pelosa”: la “Tarantik”.
E’ proprio la nave il topos letterario d’eccellenza della vita, volta a mostrare bellezze e debolezze della società: anche se il vero protagonista d’eccezione è il tempo. Una nave che salpa, che naviga nel Mediterraneo: un po’ come il nostro caro e “odiato” protagonista, che scorre e passa salpando, talvolta, verso mete sconosciute.
Sulla nave succede di tutto: qui si incontreranno e si scontreranno le vite di alcuni passeggeri, secondo i canoni della “commedia di carattere”.
Tanti i personaggi in scena, tutti interpretati egregiamente: è lo specchio di una società variegata, piena di contraddizioni e sorprese inaspettate.
I primi a presentarsi sulla scena sono i vincitori della “crociata” (ovvero “crociera”): la famiglia Boglione, ingenua e spontanea, di umili origini, unita e divertente. Lei di nome fa Santa (interpretata da Marisa Lopalco) ma tanto angelica non è, lui è Goffredo (Peppino Fanigliulo) e porta quasi il nome di uno degli eroi della famosa opera del partenopeo Torquato Tasso (napoletano come l’origine del proverbio che dà il titolo alla commedia, traslato in dialetto tarantino). E’ una famiglia classica, cristiana, portatrice di valori di onestà e gentilezza… in salsa nostrana.
L’altra famiglia, invece, è più giovane e moderna, ma allo stesso tempo vuota.
Lui è GianFilippo (Aldo Salamino), un padre “casanova” dei giorni nostri: sua moglie Perla (Gabriella Manigrasso) oltre al nome di raffinato non ha nulla. Si fa notare per la costanza spasmodica con cui cerca di combattere il tempo, comportandosi come un’adolescente, e cercando di apparire più giovane, appoggiando talvolta le scelte assurde della figlia Alessia (Monica De Leo), una ragazza come tante, che si reclude nel suo mondo di cuffiette e social network, fatte di amicizie finte e selfie postati.
I coniugi, spinti da una continua sete di cupidigia e di tradimento, per tutta la commedia tenteranno di sedurre il comandante Sveltino (Nando Lo Pio) e l’affascinante assistente Marina Tromba (Valeria Conte).
Personaggio divertente e surreale è quello di Gedeone Carbone (Francesco Donvito) che si emoziona ogni qual volta parla in perfetto italiano, emanando “arie” poco gentili, che cerca di controllare la strana “malattia”, assumendo dosi industriali di carbone attivo.
Lo strambo personaggio riuscirà a conquistare il cuore della vedova Eufrasia Allegri (Angela Solito), salita sulla nave per rendere omaggio alle ultime volontà del defunto marito, un uomo di mare ormai cremato.
Completano l’equipaggio il Tenente Nulla (Ciro Fornari) che si chiama così perché orfano e senza storia, insieme al Dottore Rino Uccio (Onofrio La Gioia) che somministra le stesse pillole a tutti i passeggeri, che contribuiscono a rendere avvincente un gioco di incontri esilaranti quanto incoerenti.
Un po’ come il personaggio dello sbruffone, Edmondo Coniglio (Antonello Conte), un attore da strapazzo, tuttologo del niente, che ostenterà la sua insolente inettitudine più che la bravura scenica.
Ma è il Mozzo Armando ad essere l’elemento di collegamento tra le varie scene: un po’ come un “servus” plautino, sta nel mezzo fra l’ingenuità di alcuni personaggi e la corruzione di altri, non si lascia mai abbindolare da nessuno, non svela mai del tutto se stesso.
Interpretato dal bravo Fabio Fornaro, per necessità cerca di nascondere le sue origini tarantine fingendosi romano, e con sfacciataggine si aggiunge alla galleria di allegri codardi e arroganti.
Che sia il nostro “deus ex machina”, fatto in carne ed ossa, non è da escludere: è colui che per fatalità o distrazione scatena l’intreccio fondamentale, che si rivela nel finale.
E’ proprio lui a scambiare le due borsette, l’una della vedova Allegri e l’altra di Gedeone, contenenti la prima l’urna funeraria del marito e l’altra il carbone purificatore: e il tempo, ora benevolo, spiega le verità nascoste.
Ci avreste mai creduto ad un finale come questo?
– AVVISO AL LETTORE – SPOILER
Il Tenente Nulla scopre di essere il figlio naturale di Eufrasia e del suo defunto marito: la voce del suo spirito irrompe in scena, benedicendo la nuova famiglia formata da Eufrasia e Gedeone.
E’ il lieto fine alla Manzoni, degli umili e degli onesti, che lascia sullo sfondo uomini vili e corrotti: il tempo è galantuomo e aiuta chi lo merita, le persone buone.
E’ geniale e a tratti commovente il modo con cui Salamino ha saputo riunire in tutti i registri scenici, l’ironia e le sfaccettature: la nave è la metafora di una società piena di contraddizioni. Dunque sorge spontaneo domandarci: che cosa ci riserverà il tempo? Magari qualcosa di positivo e sorprendente.
Un po’ come è accaduto al Tenente Nulla: all’improvviso scopre di chiamarsi Giorgio, di avere una famiglia e… una seconda possibilità.
Di Maria D’Urso per Tarantoeventi.it