La Corte di Appello di Lecce ha confermato il diritto di Legambiente ad ottenere un risarcimento di trentamila euro da Fabio Riva, nella qualità di erede di Emilio Riva, patron di ILVA S.p.A., e da Luigi Capogrosso, ex Direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto.
E’ stato infatti rigettato l’appello proposto da Fabio Riva e da Luigi Capogrosso avverso la sentenza del Tribunale di Taranto, che li aveva condannati al risarcimento dei danni in favore di Legambiente, difesa dall’avvocato Massimo Moretti.
Il giudizio e la sentenza di condanna del Tribunale Civile si erano resi necessari per quantificare il danno riconosciuto nel procedimento penale concluso in Corte di Cassazione, con sentenza conclusiva del 2010, che riconosceva il diritto di Legambiente, costituita parte civile con l’avvocato Eligio Curci, al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede. Il procedimento penale in questione si riferiva al reato di “getto pericoloso di cose” per il periodo compreso tra la fine degli anni ‘90 e la data di sentenza di primo grado (2007), connesso alla produzione industriale dello stabilimento Ilva di Taranto, con particolare riferimento alle immissioni di sostanze inquinanti provenienti dall’area a caldo.
La Corte di Appello, nel rigettare l’impugnazione proposta dall’erede di Emilio Riva e dall’ex Direttore di stabilimento, ha confermato la correttezza della sentenza di primo grado, che aveva ritenuto provato l’incessante impegno di Legambiente a tutela del bene ambiente nell’ambito della Città di Taranto con particolare riferimento alle problematiche poste dalle emissioni di sostanze inquinanti dello stabilimento ex Ilva. La sentenza aveva riconosciuto che la tutela dell’ambiente costituisce scopo istitutivo dell’associazione, ricavandone l’esistenza di un danno subito iure proprio, cioè direttamente dalla associazione, connesso all’azione delittuosa di cui il Riva (padre) ed il Capogrosso sono stati riconosciuti responsabili, riguardante l’emissione dallo stabilimento ILVA di grossi quantitativi di polveri ed altre sostanze verso i quartieri cittadini circostanti atti ad offendere e molestare le persone, e comportando l’imbrattamento di arredi urbani ed edifici pubblici e privati.
Detto sversamento di sostanze inquinanti ha avuto, infatti, un effetto dannoso diretto nei confronti del bene ambiente e sulla qualità di vita dei cittadini, ma ha avuto un effetto dannoso riflesso anche sulla associazione ambientalista.
La Corte ha ritenuto anche di confermare la quantificazione del danno liquidato nella sentenza di primo grado nella somma di euro 30.000,00, oltre accessori, ritenendola congrua rispetto al reato contestato, e rigettando sul punto l’appello di Riva e Capogrosso, che chiedevano con forza una riduzione dell’importo, considerandolo esagerato. La sentenza della Corte di Appello rappresenta quindi un importante risultato non solo per Legambiente, ma per tutto il mondo ambientalista.
Ora occorrerà attendere la pronuncia della Cassazione, considerato che i legali di Riva e Capogrosso hanno già preannunciato ricorso. Legambiente, appena le sarà possibile, intende utilizzare il risarcimento per varare iniziative che, unite alla propria attività di studio, denuncia e proposta, possano contribuire al consolidamento, soprattutto nelle nuove generazioni, di una cultura ambientalista capace di premiare lo studio e l’approfondimento delle tematiche ambientali, magari con l’istituzione di borse di studio pluriennali per progetti di ricerca in ambito ambientale da promuoversi di concerto con l’università locale e le altre istituzioni territoriali, ovvero promuovendo approfondimenti nei settori delle bonifiche, della rigenerazione urbana, delle energie rinnovabili e della mobilità sostenibile.