ArcelorMittal ha comunicato alle organizzazioni sindacali che a breve ripartiranno alcuni impianti: dal prossimo 11 maggio nel laminatoio a freddo, le linee del treno lamiere, decapaggio e decatreno; dal 14 maggio la zincatura 1; dal 18 maggio la zincatura 2, insieme alla Finitura lamiere e Spedizioni.
Complessivamente rientreranno circa 630 dipendenti dalla Cigo Covid-19 per attività lavorative che oscilleranno dalle 4 alle 7 settimane.
La notizia in se, sicuramente rappresenta un fatto positivo. Un timido passo in avanti. Oramai siamo entrati nella fase 2 ed è chiaro che, rispetto alla fase 1, le misure di prevenzione sanitaria adottate in fabbrica (dai Dpcm al protocollo di sicurezza, dal distanziamento alle termocamere, per finire ai test sierologici di prossima ripresa, che di fatto permettono di avere un monitoraggio continuo ai fini della prevenzione da Covid-19), permettono una maggiore gestione della situazione ed oltretutto consentono un maggiore controllo in termini di prevenzione.
Quindi bisogna iniziare a ragionare sulla riduzione dei numeri di cassa integrazione in tutto lo stabilimento, rispetto all’avvio della fase 2 e dei futuri assetti di marcia, ovviamente non abbassando il livello di guardia che deve rimanere alto nel rispetto dei protocolli di sicurezza.
La necessità di lavoro diventa in questa fase il punto cruciale, in quanto non si può vivere “di soli ammortizzatori sociali”. In questa fase le aziende devono mettere in campo tutti gli strumenti utili e necessari al fine di programmare gradualmente un piano strategico di ripartenza.
ArcelorMittal, pertanto, deve uscire allo scoperto, mostrando le reali intenzioni, non trincerandosi dietro la Cigo Covid-19. Questa è la sensazione che si percepisce in fabbrica. ArcelorMittal deve mostrare necessariamente chiarezza, dichiarando cosa intenda fare a proposito dello stabilimento di Taranto. Come intende traguardare i prossimi mesi? Quali sono i progetti per il futuro e quali le operazioni di manutenzione? Evidenziamo ancora una volta che gli impianti necessitano di manutenzioni sia di natura ordinaria sia straordinaria e, a proposito degli impianti attualmente fermi – vedi l’altoforno 2, Acciaieria 1 e non solo – cosa intende fare? Comprendiamo le difficoltà contingenti di mercato, in particolar modo quello dell’acciaio nella fase difficile che stiamo attraversando, però Arcelormittal non può sosttrarsi alla proprie responsabilità. C’è bisogno di chiarezza.
Servono risposte concrete e certezze. I lavoratori devono guardare al futuro certo, superando le tante problematiche di natura economica e lavorativa che interessano anche i lavoratori dell’appalto e quelli ancora nella vecchia società Ilva in AS. Questi ultimi, lo ricordo ancora, non possono essere considerati diversi dagli altri.
In tal senso, lo stesso governo, inoltre, deve chiarire tutti gli aspetti dell’ultimo accordo del marzo scorso, che lo ha visto protagonista della realizzazione di un nuovo “piano segreto” con Ilva in Amministrazione Straordinaria e ArcelorMittal, senza il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali. Noi non conosciamo alcun accordo alternativo rispetto a quello realizzato il 6 settembre 2018, al quale manteniamo fede.
Questo territorio ha bisogno di una svolta concreta, di benessere e di sviluppo. Il tutto deve passare dal rilancio di un azione tesa al rispetto dei temi fondamentali, come la tutela della salute, dell’ambiente, della sicurezza e del lavoro.
Non si può continuare a vivere nel limbo, precludendo a tutti la speranza di scorgere quella luce in fondo al tunnel. Luce che i lavoratori attendono con ansia e trepidazione. Questo forte appiattimento di ArcelorMittal non va bene, anche nel modo in cui opera in termini di relazioni industriali all’interno della fabbrica. Così sicuramente non andiamo da nessuna parte.Taranto, 6 maggio 2020