Abbiamo letto con attenzione e gratitudine lo studio presentato da alcuni ricercatori italiani dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima sulla rivista “Air Quality, Atmosphere & Health”.
Lo stesso Comune di Taranto, che pure è un mero esecutore in questo frangente, aveva più volte richiesto l’aggiornamento della delibera regionale del 2012, che regolamenta le misure nei giorni definiti “wind days”. E sulla assurdità di far vivere segregata, ancora nel 2020 e al tempo del coronavirus, una intera comunità nei numerosi giorni di vento dell’anno, piuttosto che intervenire con convinzione sulle fonti inquinanti, diremmo che siamo tutti d’accordo.
Ma ormai il tema, ancorché significativo dal punto di vista scientifico, sembra meno attuale. Come non ci scandalizza più che disparati organismi, CNR, ISS, ISPRA, ARPA, ASL, ecc. ci rappresentino periodicamente scenari spesso dissonanti nella prospettiva sanitaria, senza che si curino per altro dello stato d’ansia nel quale puntualmente gettano i residenti, specie del quartiere Tamburi, o della difficoltà nella quale relegano gli enti locali.
Oggi Taranto non è più interessata a perfezionare le cautele nei “wind days”, oggi noi non siamo semplicemente più disponibili a vivere giorni di “wind days”. Tutta Italia sta toccando con mano quanto sia complicato e doloroso restare ingiustamente segregati e privati delle più normali libertà ed attività.
Ogni studio è interessante e forse utile, ma no, grazie. Cambiare gli orari di apertura delle finestre non è più in discussione. Possiamo solo discutere dello stop delle fonti inquinanti e del ritorno ad una vita normale. Come vale per tutti i cittadini del mondo civilizzato.