La decisione di lasciare lo stabilimento siderurgico di Taranto assunta da Arcelor Mittal in ragione di quanto comunicato dall’AD Lucia Morselli è di una assoluta gravità perché delinea uno scenario, per l’intera comunità jonica, a dir poco disastroso. Non è il momento dei “se” e dei “ma”: chi ancora parla di “rischio di desertificazione industriale” ora dovrà ragionare in termini di certezze.
Se tale disimpegno dovesse essere confermato, la città e la sua provincia subiranno a breve ripercussioni irreversibili, trascinando con sé pezzi interi di economia di tutto il Paese.
Intanto, ci aspettiamo che il Governo intervenga in tempi brevi per ripristinare le condizioni che hanno portato l’azienda al recesso. Fatto questo, saremo pronti, anche come Confindustria Taranto, ad andare a discutere su quanto si potrà fare per ristabilire un clima di ragionevole confronto per tenere in piedi, con tutti i dovuti crismi, quello che è il simbolo della siderurgia italiana.
Certo è – e qui parlo a nome di tutti quegli imprenditori che hanno vissuto gli ultimi anni in una condizione di estrema criticità rispetto ai tanti sacrifici resi vani dall’assenza di liquidità in cui versava l’azienda in amministrazione straordinaria (e mi riferisco ai crediti milionari pregressi oramai confluiti nel passivo) – non accetteremo un’altra condizione di analoga precarietà. Non accetteremo una seconda prova sfiancante ai danni delle nostre imprese: ai commissari straordinari, chiediamo fin da adesso garanzie rispetto ai pagamenti sulle commesse correnti e su quelle già scadute e ancora non pagate.
Il nostro non è, si badi bene, un semplice inciso nel marasma delle preoccupazioni e dei conseguenti dilemmi che si aprono di fronte alle comunicazioni diramate da Arcelor Mittal Italia. Si tratta invece di una questione di assoluta priorità, che ci riviene da un recente passato in cui abbiamo dovuto subire danni ingentissimi anche in funzione di rassicurazioni (commissariali, e quindi governative) che nel tempo si sono rivelate assolutamente infondate. Oggi non siamo più disposti a subire l’ennesima beffa ai danni di quelle stesse imprese (quelle rimaste) che proprio grazie alla continuità del loro lavoro hanno assicurato, a suo tempo, la tenuta e la continuità della fabbrica ed il passaggio al nuovo acquirente.
Il nostro appello di oggi va pertanto:
ai Commissari, affinché assicurino da subito le aziende dell’indotto circa quanto loro spetta in una fase che, salvo cambiamenti di rotta, si prefigura ancora una volta “di passaggio”, in virtù della comunicazione di recesso di Ami;
al Governo, affinché assuma tutti i provvedimenti idonei a far desistere la società dal recesso contrattuale;
alla stessa Arcelor Mittal Italia, che solo un anno fa era arrivata a Taranto, dopo lunghe trattative, con le migliori intenzioni di rilancio di uno stabilimento ritenuto strategico: all’azienda chiediamo di tornare sui suoi passi, di chiarire fino in fondo la sua posizione (non soltanto rispetto all’esimente penale, che viene posta come condizione contrattuale venuta meno) ed eventualmente rivalutare il suo impegno su Taranto e aprire un tavolo di discussione che, all’occorrenza, ci vedrà partecipi e attenti interlocutori.
Taranto, 4 novembre 2019 Confindustria Taranto