La parola ai cittadini. È questo che dovrebbe fare l’amministrazione comunale: dare la parola ai cittadini, ascoltare i loro suggerimenti, alimentare e incentivare la creatività delle nostre eccellenze. Chi, meglio di un tarantino, può esprimere l’essenza della città in cui è nato e cresciuto? Invece cosa fa? Affida la realizzazione di un logo a una agenzia di comunicazione barese che lo ragiona solo con mente grafica e non con gli occhi e la mente di chi questa città la vorrebbe davvero veder rinascere. Vogliono creare il “brand”. Così hanno detto. Di brand si iniziò a parlare già tempo fa, nel 2015/2016, durante una conferenza stampa di presentazione della Spartan Race. Era uno degli auspici degli organizzatori, ossia che Taranto potesse diventare il simbolo di sé stessa, allontanando dalla storia della città la mentalità dell’industria che seppure abbia dato pane a tante famiglie, non si può negare che tante altre ne abbia distrutte togliendo loro la salute e la vita. Dunque, torno a dire, la parola ai cittadini. Questo logo, questa cosa colorata che dovrebbe rappresentare la coda di un delfino, non mette in discussione assolutamente la professionalità e serietà dell’azienda che l’ha realizzata, ma mette in discussione la serietà di un’amministrazione comunale che anziché essere espressione dei suoi cittadini nel rappresentare la città che governa, ha imposto loro qualcosa che non li rappresenta. E lo ha fatto due volte: quando ha incaricato un’azienda non del tel territorio e quando pagando oltre 160.000€, ha ingaggiato testate giornalistiche per sponsorizzarla e convincere l’opinione pubblica che quel simbolo rappresenti Taranto. Comprare la presenza mediatica pur di promuovere qualcosa che la città rinnega. Ci si è comprati la ragione. Nulla da rimproverare all’area commerciale delle varie testate che hanno incassato e messo in atto quanto previsto nel negozio stipulato con l’Amministrazione. È il loro lavoro, dunque, non vi è nulla di scandaloso. Una critica mi sento di muoverla però, verso coloro che da anni intingono la penna nell’orgoglio tarantino per dare voce alla città nel cui riscatto credono, almeno sulle pagine di giornale. Non tutti abbiamo la possibilità di dire no ai nostri editori, ne conosciamo bene il prezzo. Ma chi edita il proprio giornale, può dire benissimo di no. E non è una congettura, l’ho imparato nel mio percorso, quando approcciandomi alla professione giornalistica, ho iniziato a scrivere per un quotidiano cartaceo locale, che oggi non esiste più, il quale non si è mai piegato alla rubinetteria dell’Ilva. Lì mi è stato insegnato che noi giornalisti per essere fieramente tali, non dobbiamo avere padroni. A costo di chiudere e ricominciare da capo. A me questo insegnamento è rimasto, agli altri non lo so. Perché possono toglierci la testata, possono toglierci la redazione, ma non ci toglieranno mai la dignità. Motivo per il quale il mio/vostro giornale Tarantini Time, esiste dal 2014, alimentato da passione, amore per la città e per questo mestiere. Ha un direttore testardo, diretto, con idee politiche particolarmente chiare, ma è aperto a tutti e a tutto. L’informazione per noi non ha colori. Detto ciò, non esiste denaro a questo mondo che possa comprare il sentimento di un tarantino che non si sente rappresentato da questo marchio che, a quanto pare, non piace a nessuno. Sarebbe interessante conoscere le motivazioni e criteri di scelta di talune testate giornalistiche, messe in atto dall’amministrazione. Ci auguriamo che esistano e che siano basati su validi presupposti. Altrimenti non ci resta che pensare alla solita mancetta di sinistra. E non so cosa sia peggio tra chi compra e chi si vende.