Nel corso di una conferenza stampa il Sindacato pensionati della Cgil ha esposto la disavventura vissuta, nell’ambito della sanità pubblica, da una paziente oncologica della provincia di Taranto. Presenti all’incontro con gli operatori dell’informazione il segretario provinciale dello Spi Giovanni Angelini e la figlia della donna, originaria di Fragagnano.
Il 2 luglio scorso, avendo riscontrato un rigonfiamento al braccio dove era stato inserito un “picc” (un catetere venoso centrale a inserzione periferica) per la chemioterapia, la signora Marianna Carabotto aveva condotto la madre al pronto soccorso dell’ospedale SS.Annunziata. Da qui la paziente era stata trasferita nel reparto di chirurgia vascolare, dove le erano stati prescritti solo degli antibiotici, rimandando la paziente al luogo di cura dove le era stato impiantato il “picc” per la rimozione dello stesso.
Nel caso specifico: l’ospedale di San Giovanni Rotondo! E se l’impianto fosse stato effettuato al Nord Italia o addirittura all’estero – si chiede la figlia della paziente – avremmo dovuto affrontare un lungo viaggio per un intervento di così modesta entità?
Peraltro – ha aggiunto dal canto suo il segretario Angelini – il giorno successivo, notando un peggioramento della situazione, la paziente era stata condotta nell’ospedale Moscati, dove veniva riscontrata una trombosi venosa in atto. Da qui il trasferimento nel reparto di rianimazione, dove poi il “picc” è stato finalmente e semplicemente rimosso. Plauso dunque ai sanitari di questo nosocomio, – ha tenuto a precisare la signora Carabotto – ma resta inspiegabile invece il comportamento di “chirurgia vascolare” al SS.Annunziata, dove peraltro non è stato effettuato un emocromo (per conoscere i valori di piastrine e globuli bianchi), né un ecodoppler venoso del braccio dove era impiantato il “picc”.
Informato dell’accaduto, lo Spi Cgil si era quindi attivato con l’Urp (Ufficio relazioni con il pubblico) della Asl di Taranto, a cui in data 8 luglio è stata esposta telefonicamente la problematica, sentendosi rispondere dal dirigente dapprima che la risposta sarebbe arrivata entro trenta giorni, salvo poi precisare che sarebbe giunta invece già il giorno successivo.
Così non è stato. Da qui la decisione di rendere pubblica la vicenda, affinché la diretta interessata e i suoi familiari – ha concluso Giovanni Angelini – possano ottenere dei chiarimenti e per evitare che ad altri pazienti venga imposto di rivolgersi alla struttura sanitaria dove un catetere venoso è stato impiantato, anche se a centinaia di chilometri di distanza, per un’eventuale rimozione.
Taranto, 16.07.2019