Oggi è la festa della Liberazione. Una festa per ricordare coloro i quali, 74 anni fa, dando vita alla Resistenza, combatterono e morirono per restituire al nostro Paese la libertà e la dignità perse con la dittatura e con l’occupazione nazifascista.
La Resistenza non fu, come qualcuno oggi sembrerebbe voler far credere, un fenomeno proprio di una sola parte politica o di una sola area culturale, e in particolare di quella che si identifica nella tradizione della sinistra.
No, la Resistenza fu un fenomeno plurale e collettivo, che riunì persone di diverso orientamento culturale e politico – quali cattolici, liberali, marxisti e anche monarchici – militari delle varie forze armate e carabinieri, che andarono a formare le diverse bande partigiane, tutti uniti nell’anelito per la libertà, uniti nel desiderio di dare un riscatto ad un Paese umiliato e martoriato dalla follia di un regime dittatoriale, uniti sotto il vessillo dell’antifascismo.
L’antifascismo, oggi come ieri, non è infatti un’ideologia, ma è un valore che accomuna chiunque creda nella necessità di difendere la libertà, la democrazia e la pace, contro chi propugna i disvalori della prevaricazione dell’uomo sull’uomo, della esaltazione della violenza, della sopraffazione, del razzismo e della guerra.
I partigiani, i deportati, gli antifascisti che hanno lottato e sofferto in quegli anni sono ormai sopravvissuti in pochi. Ma il loro messaggio è stato raccolto negli anni da milioni di italiani, e oggi questo compito spetta a noi.
E’ importante essere qui ancora oggi, a 74 anni dal 25 aprile del 1945, perché il fascismo non si identifica solo nei regimi storici di Mussolini e Hitler, ma può assumere tante forme che hanno sempre connotati costanti, quali l’autoritarismo, la limitazione delle libertà, il razzismo. E’ giusto essere qui ancora oggi, per dire che i valori della Resistenza, che condussero alla Liberazione il 25 aprile del 1945, sono attuali oggi come non mai.
Infatti i recenti episodi che segnalano il riemergere dell’intolleranza e del razzismo in Italia e in tutta Europa, le iniziative sempre più spavalde organizzate da forze che si richiamano apertamente al neofascismo, la rinnovata tendenza a giudicare gli uomini non per le loro reali azioni e responsabilità individuali, ma sulla base dell’appartenenza a categorie, siano esse etniche o religiose, ci costringono a chiederci come sia possibile che la Storia abbia insegnato così poco.
Il veleno dei nazionalismi, dei neofascismi e dei razzismi sta tornando tra noi e in Europa, e rischia di mettere in discussione diritti e conquiste di libertà che sembravano ormai acquisite e consolidate.
La crisi economica e sociale che attanaglia l’Italia e l’Europa – e in particolare l’Europa meridionale – ormai da lunghi anni, ha condotto le masse all’esasperazione. E oggi come ieri c’è il rischio che l’esasperazione possa essere strumentalizzata ed indirizzata, per alimentare la naturale paura della diversità e per far sentire alle masse il bisogno di una guida autoritaria.
Per dare un senso alla celebrazione di oggi, dobbiamo essere consapevoli che tutti noi siamo chiamati a contrastare il riemergere di questi fenomeni, e per farlo dobbiamo usare l’arma pacifica della conoscenza.
E’ importante far conoscere sempre di più ai giovani, andando nelle scuole, cosa è stato davvero il fascismo, sfatando falsi miti e fake news elogiative, purtroppo sempre più presenti su internet. Ma è soprattutto importante far conoscere il principale frutto della Liberazione, e cioè i valori tutelati dalla nostra Costituzione.
E’ un impegno che grava su ciascun cittadino libero, ma anche e soprattutto sulle Istituzioni, che sono tenute a rispettare e a far rispettare il profondo ed intrinseco significato antifascista della nostra Costituzione. Non è accettabile restare indifferenti se nelle strade compare l’esibizione delle svastiche e dei saluti romani, se vengono promosse e organizzate iniziative all’insegna dell’intolleranza o dall’esplicita matrice neofascista.
E proprio in ragione di questi episodi, appare condivisibile la recente decisione assunta dalla nostra Regione, la Regione Puglia, di istituire presso la Presidenza della Giunta l’Osservatorio regionale sui neofascismi, col compito di monitorare, su tutto il territorio regionale, gli episodi e le iniziative di singoli e di formazioni organizzate che rivelino una ispirazione neofascista.
Preoccupano invece altri atteggiamenti e altre dichiarazioni, ben più ambigui, provenienti anche da autorevoli esponenti del mondo politico.
Emblematica appare forse una frase, che abbiamo sentito pronunciare recentemente troppe volte. Mi riferisco alla frase: “Il fascismo ha fatto anche cose buone”. La abbiamo sentita pronunciare anche da autorevoli rappresentanti istituzionali.
Ebbene noi, da questa piazza, diciamo che non è così. Il fascismo non ha fatto anche cose buone. Perché per dare un giudizio su cosa abbia fatto e abbia rappresentato il fascismo, non ci si può basare su provvedimenti che anche qualunque governo democratico avrebbe fatto al suo posto, quali qualche bonifica e qualche opera pubblica. Per dare un giudizio corretto sul fascismo dobbiamo guardare a quei provvedimenti che il fascismo ha fatto e che mai un governo democratico avrebbe fatto al suo posto, quelli che ne hanno disegnato i connotati ideologici, quali, fra gli altri, la soppressione della libertà e le leggi razziali.
E sul punto, tutti dovrebbero ricordarsi delle parole che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella pronunciò il 23 gennaio del 2018, in occasione della Giornata della Memoria, e considerarle definitive. Mattarella usò queste parole per respingere il mito del fascismo buono: «Il fascismo – spiegò il presidente della Repubblica – fu un regime che non ebbe alcun merito, e nel quale la caccia agli ebrei non fu affatto una deviazione ma fu insita stessa alla natura violenta e intollerante di quel sistema. I fantasmi del passato, il rischio che si possano di nuovo spalancare le porte dell’abisso, devono essere sempre tenuti presenti. La nostra società ha gli anticorpi per evitarlo ma spetta a ciascuno di noi operare per impegnarsi per impedire che il passato possa tornare. Non bisogna minimizzare i focolai di odio. Il nostro Paese ha la forza e la capacità di fare i conti con la propria storia e ottanta anni dopo l’infamia delle leggi razziali non bisogna aver paura di ricordare che quelle leggi furono firmate di proprio pugno da Mussolini ma trovarono complicità e giustificazione all’interno dello Stato e della società dell’epoca: intellettuali, giuristi, scienziati, storici firmarono il Manifesto della razza che diede il supporto teorico a quella ignominia».
Cittadini di Taranto.
Se vogliamo davvero onorare la memoria dei partigiani e di coloro che soffrirono e morirono a causa della dittatura, da questa Piazza della Vittoria noi dobbiamo dire con fermezza e chiarezza che il 25 aprile non è la festa di qualcuno, ma è la festa di tutto il popolo italiano. Perché quella insurrezione popolare, che contribuì a liberare l’Italia insieme all’azione degli Alleati, ha consegnato a tutto il popolo italiano quei valori di libertà, democrazia, eguaglianza, pace, che sono stati sanciti nella nostra Costituzione e oggi sono e devono continuare ad essere patrimonio di tutti.
Tutti, e non solo qualcuno, dobbiamo riconoscerci in quei valori e difenderli.
E il miglior modo per difendere quei valori è chiedere che vengano attuati.
Che venga attuato il diritto al lavoro, pensando ai tanti giovani che emigrano all’estero in modo ormai strutturale e nella sostanziale indifferenza generale.
Che venga attuato il diritto alla eguaglianza, pensando alle sempre maggiori diseguaglianze che contraddistinguono la nostra società e che bloccano l’ascensore sociale.
Che venga attuato il diritto all’istruzione, in una società in cui si diffonde l’analfabetismo funzionale, e molti cittadini sono incapaci di riconoscere informazioni false lette su internet.
Che venga garantito il diritto alle cure mediche, in una società che si sente sempre più insicura e vulnerabile.
Questo sarà il modo migliore per sconfiggere la paura della diversità e il veleno dell’intolleranza e del razzismo.
Questi sono i valori intorno a cui tutto il popolo italiano si deve unire e riconoscere.
Perché ad essere divisivo non è chi si riconosce nella nostra Costituzione, ma chi coltiva oscure nostalgie per sciagurate avventure e vorrebbe rendere meno netto il confine di demarcazione fra il mondo politico democratico e chi è stato condannato in via definitiva dalla Storia.
Tutto questo significa la Festa del 25 Aprile.
E poiché ci riconosciamo, uniti, in questi valori, possiamo esclamare: viva la Resistenza e il 25 Aprile, viva la Costituzione, viva l’Italia.
Avv. Marcello Barletta, Vicepresidente ANPI Taranto