L’Istituto Superiore di Sanità ha reso noto lo studio sul biomonitoraggio svolto in collaborazione con la ASL di Taranto sulle concentrazioni dei vari tipi di diossina nel latte materno delle mamme della provincia jonica e del capoluogo.
Tale studio era previsto dal Riesame AIA del 2012 a carico dell’Ilva.
Il risultato registra un aumento di diossine pari al 28% nel latte delle donne che risiedono a Taranto e Statte rispetto a quelle che abitano in provincia. Si tratta di concentrazioni statisticamente rilevanti. L’ISS ritiene che vi siano basse probabilità di effetti avversi per la salute. Questa conclusione non ci lascia tranquilli in quanto non si escludono affetti dannosi.Le donne sono esposte anche ad altri inquinanti ed è risultato ad esempio che sia stata trovato il naftalene nelle urine in quantità significativa (febbraio 2017) e sarebbe importante sapere dalla ASL se la principale fonte emissiva industriale, ossia la cokeria (con oltre tre tonnellate annue di naftalene diffuse nell’ambiente anche ad AIA completata), sia stata assolta oppure no. Inoltre le analisi sugli allevatori a Taranto indicano che le concentrazioni di diossina nel loro sangue aumenta man mano che ci si avvicina all’area industriale. Sono tutti indicatori che non ci possono far archiviare l’eccesso di diossine nelle donne di Taranto come un problema comune ad altre aree urbane, in considerazione del fatto che a Tarano ben si conosce qual è la fonte emissiva principale di diossina. E’ sbagliato rassegnarsi ad un fatale destino di maggiore diossina per le donne e il loro latte materno. Lo studio in questione è stato reso noto dopo quasi sette anni dal Riesame AIA ILVA e fornisce dati importantissimi per i decisori. La scienza dice che la diossina passa nei bambini che vengono allattati al seno e non è accettabile neanche una piccola quantità, se vogliamo tutelare le generazioni future. L’emissione di diossina non è cessata nel 2012 e anzi, dopo un calo iniziale, è ritornata a salire nei deposimetri. I dati del deposimetro nella masseria Carmine, resi pubblici a febbraio, testimoniano che il problema va affrontato con rinnovata attenzione. Dal 2012 sono state concesse all’Ilva proroghe e deroghe con ben dodici decreti e la priorità di tutelare la salute a Taranto non è stata inserita nell’agenda di nessun governo, neppure di questo.
Chiediamo che venga creata a Taranto una biobanca (sangue, urine, cordone ombelicale, latte materno, liquido amniotico, capelli, tessuti) che mantenga la traccia di tutto quello che sta avvenendo, a partire dalle donne. Una biobanca che riguardi anche i lavoratori ILVA, a loro tutela. Non vogliamo essere trattati come cavie da laboratorio. E tuttavia va fatta questa biobanca affinché non si perdano le prove di quanto sta avvenendo in questo drammatico e prolungato esperimento sulla salute di un’intera comunità.
Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink