“È importante che ancora oggi si parli di questioni come quella della discriminazione razziale. Un tema che, a dispetto del tanto tempo passato dal 1938 ad oggi, è di drammatica realtà. Per questo ritengo molto importante che la città di Taranto ospiti questa mostra che a quel periodo buio dell’umanità fa riferimento”.
Con questa doverosa premessa fatta dal consigliere regionale Gianni Liviano, è stata inaugurata la mostra itinerante sulla Shoah, “La razza nemica. La propaganda antisemita nazista e fascista”, finanziata dall’UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (organo del Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri), e organizzata dalla Fondazione Museo della Shoah che, per il secondo anno consecutivo, ha voluto inserire Taranto tra le sei città italiane che l’hanno ospitata avvalendosi della collaborazione dell’associazione ”Le città che vogliamo”, dell’Ufficio scolastico provinciale e del Comitato qualità della vita. Quest’anno, ad essere coinvolti nell’iniziativa sono stati anche i Comuni di San Giorgio Jonico, Faggiano, Palagiano, Crispiano, Statte e Montemesola.
Intervallata dagli intermezzi musicali dell’allieva Lucrezia Bonasia della classe di chitarra del m° Andrea Monarda dell’Istituto di alti studi musicali “G. Paisiello” (che ha ospitato i 37 pannelli espositivi), la cerimonia, alla quale sono intervenute le autorità civili e militari e un gruppo di docenti e studenti del liceo “Battaglini” di Taranto, si è snodata tra gli interventi degli storici Amedeo Osti Guerrazzi e Marco Caviglia della Fondazione Museo della Shoah, che hanno illustrato i contenuti della mostra, e gli interventi istituzionali tra i quali quello del prof. Antonio d’Itollo, dirigente USR Puglia Ufficio VII Taranto.
“L’obiettivo di questa mostra – ha aggiunto Liviano – è di raccontare e mantenere vivo il ricordo di questo periodo buio che ha pervaso l’umanità ma è anche quello di sottolineare come le diversità culturali, sociali, di razza e di confessione religiosa rappresentino comunque un arricchimento se vogliamo essere, attraverso il dialogo e l’accoglienza, convinti costruttori di pace. Ecco perché abbiamo inteso ospitare questa mostra e offrirla agli studenti tarantini in modo che, conoscendo il passato, possano diventare fondatori di comunità aperte e accoglienti”.
Temi ripresi dal prof. Raffaele Spada, presente in rappresentanza dwl provveditore agli studi, prof. d’Itollo, il quale ha sottolineato che “abbiamo voluto offrire ai nostri studenti di far mente locale affinché, attraverso la conoscenza di quanto accaduto nel passato, si possano scongiurare nuovi genocidi nel rispetto delle diversità. La memoria ha un senso solo se ha il coraggio e l’audacia di guardare al futuro”. Mentre Carmine Carlucci, presidente del Comitato per la qualità della vita, ha ricordato l’impegno del Cqv nell’organizzare varie iniziative dedicate ai temi della Shoah come il progetto “Alla ricerca delle radici” per non dimenticare “la straordinaria cultura ebraica”.
Il direttore Maggi dell’istituto Paisiello ha sottolineato che “non bisogna mai dimenticare il passato e la musica, linguaggio universale, unisce i mondi, ecco perché il Paisiello ha accettato di ospitare la mostra nei suoi spazi e lo ha fatto in un momento particolare per l’istituto alle prese con una statizzazione che stenta a decollare e che costringe i docenti ad operare senza stipendio da due mesi”.
Nel raccontare la mostra, il prof. Osti Guerrazzi e il prof. Marco Caviglia, storici della Fondazione Museo della Shoah, hanno spiegato che si tratta di un “percorso che racconta come il regime fascista abbia saputo costruirsi un nemico interno. Vogliamo far capire ai nostri giovani – ha aggiunto – come parlare di Shoah e di antisemitismo è, sì, parlare di qualcosa di antico ma, al tempo stesso, è come scattare una fotografia del presente visti i nuovi genocidi cui stiamo assistendo e la costruzione di nuovi nemici interni come nel caso delle questione immigrazione”. Entrando nello specifico, lo storico della Fondazione Museo della Shoah ha rilevato come la propaganda antisemita non è stata affidata solo ai mezzi di comunicazione di massa, ma è presente nella quotidianità della vita sociale. “È rintracciabile – ha aggiunto – nei volantini come sulle cartoline, nei francobolli come sugli adesivi, sui libretti dell’assicurazione medica, dove veniva riportata la scritta: “Meidet jüdische Ärze” (Evitate medici ebrei), negli oggetti che si utilizzano tutti i giorni come i fiammiferi, e persino nei giochi dei luna park”.
Il percorso espositivo si snoda su un duplice piano narrativo: da una parte viene offerto uno sguardo sull’evoluzione dell’antisemitismo in Europa all’inizio del ‘900, in particolare sulla fase finale caratterizzata da motivazioni genetiche e biologiche e non più solo teologiche, socio-economiche e culturali e, dall’altra, viene raccontato il ruolo della propaganda nazista e fascista che ha caratterizzato la cosiddetta società di massa, grazie alla nascita e alla diffusione di “nuovi” media come la radio, il cinema e successivamente la televisione. L’esposizione si chiude mettendo in rilievo le conseguenze che la propaganda ha avuto sulla sorte degli ebrei d’Europa: dalle misure persecutorie, soprattutto con l’emanazione delle Leggi di Norimberga (1935), all’l’istituzione dei ghetti, che sancirono l’isolamento degli ebrei dal resto della popolazione, dalle deportazioni allo sterminio fisico nei campi di morte.