Bene ha fatto il GIP presso il Tribunale di Taranto a sollevare questione di legittimità costituzionale sui diversi provvedimenti emessi dai Governi per salvare l’Ilva. Il magistrato ha emesso un’ordinanza con la quale chiede alla Consulta di pronunciarsi sulla violazione degli articoli 3, 24, 32, 35, 41, 112 e 117 della Costituzione.
Sono questi gli articoli presumibilmente violati dai decreti Salva Ilva, che hanno consentito e consentiranno alla fabbrica di produrre – e quindi di inquinare – fino all’agosto 2023, termine attualmente indicato come periodo di ultimazione dei lavori di adeguamento del Piano ambientale per il risanamento della fabbrica tarantina.
La Regione viene identificata dal GIP quale persona offesa dal reato contestato. Per questo la Giunta Regionale – su proposta del Presidente Emiliano, costantemente attento alle problematiche ambientali che continuano a ferire Taranto – ha conferito un incarico difensivo allo scopo di intervenire nel giudizio di legittimità costituzionale promosso dal GIP presso il Tribunale.
Infatti la Regione Puglia, in caso di formulazione di rinvio a giudizio a seguito dell’incidente di costituzionalità, potrebbe costituirsi parte civile per ottenere, ovviamente a beneficio della popolazione tarantina, il risarcimento dei danni cagionati dal reato.
Il GIP ha focalizzato l’attenzione in particolare su due aspetti della vicenda: lo spostamento costante della data di ultimazione dei lavori di risanamento della fabbrica e l’immunità concessa ai vertici della fabbrica (prima i commissari e ora i nuovi gestori di ArcelorMittal), in attesa del completamento dei lavori.
Il primo decreto Salva Ilva, voluto nel 2012 dal Governo Monti, autorizzava l’attività produttiva dell’Ilva anche in presenza di deficienze impiantistiche che potevano determinare emissioni nocive, a condizione che venissero rispettate le prescrizioni temporali per gli adeguamenti degli impianti previsti dalla nuova autorizzazione integrata ambientale. In quel provvedimento si imponeva alla fabbrica di risanare gli impianti entro il 31 luglio 2015.
Ma a distanza di sette anni dal quel decreto queste condizioni, sostanziali e temporali, sono state disinvoltamente oltrepassate, con il prosieguo dell’attività autorizzata ben oltre il limite di 36 mesi. Infatti, con la scadenza posticipata al 2023 il legislatore ha finito con il privilegiare, con le ultime norme contenute nei cosiddetti decreti Salva Ilva, in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili quali la salute e la vita stessa, nonché il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso.
In sostanza, è stata confermata negli anni una norma scandalosa che è una vera e propria barbarie giuridica. Se a ogni scadenza si può sempre prorogare tutto, il risanamento dell’Ilva non arriverà mai. Ma non si può permettere che uno stabilimento industriale fortemente inquinante operi in regime di immunità penale e civile.
L’attenzione dell’intera Giunta regionale, guidata dal presidente Emiliano, è massima sulle problematiche ambientali. Pertanto continueremo a vigilare e nel contempo a lavorare per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione della fabbrica: unica soluzione compatibile con salute e ambiente.
Mino Borraccino
Regione Puglia