Porre un freno per evitare l’ennesima ingiustizia al Sud e contrastare l’iniziativa di autonomia differenziata avanzata da alcune regioni del Nord perché lesiva delle stesse disposizioni che la regolano e del dovere di preservare l’unità della Repubblica e l’eguaglianza dei cittadini. E’ questo lo scopo che si prefigge di raggiungere la mozione presentata nei giorni scorsi, e in discussione nella seduta del prossimo 19 marzo del Consiglio regionale, dai consiglieri proponenti Fabiano Amati, Gianni Liviano, Sergio Blasi, Napoleone Cera, Enzo Colonna, Peppino Longo, Michele Mazzarano, Ruggiero Mennea, Mario Pendinelli, Francesca Franzoso e Donato Pentassuglia.
Un’iniziativa che alcuni dei consiglieri firmatari (Donato Pentassuglia, Francesca Franzoso, Fabiano Amati e Napoleone Cera), ospiti a Taranto martedì sera del collega Gianni Liviano, hanno presentato nel corso di un incontro tenutosi nella sede dell’associazione “Le città che vogliamo”.
“Le nuove modalità di organizzazione e finanziamento di servizi importanti quali sanità, scuola e tanti altri, – ha esordito il consigliere Liviano presentando gli ospiti – si concretizzeranno, a nostro avviso, con esito decisamente dannoso per le regioni già meno ricche, in partenza. Quindi, quelle del Sud. Inoltre, – ha aggiunto Liviano – il ministero dell’Economia ha garantito che, grazie a una clausola inserita nel testo dell’accordo per l’autonomia rafforzata, non ci sarà aggravio per le finanze pubbliche, ma questo tipo di autonomia, considerato il minor gettito proveniente dalle regioni interessate, non potrà che tradursi ovviamente a discapito delle altre, quelle appunto non interessate dal provvedimento, tra cui la nostra per la quale è stimata una riduzione di quasi 700 milioni di euro. Insomma, la mia contrarietà al provvedimento non potrebbe essere più convinta”.
Le maggiori criticità, fanno rilevare nella mozione i dieci consiglieri regionali del centrosinistra, riguardano la sanità, la scuola e le infrastrutture. Secondo il progetto del Governo, le regioni meridionali subirebbero una severa decurtazione del fondo di perequazione, che per la Regione Puglia si attesterebbe in una riduzione di 682 milioni. Per la scuola, invece, si prevede la legislazione regionale concorrente e il relativo trasferimento di risorse (è stato stimato 1 miliardo in più), al fine di intervenire sulle funzioni e sull’organizzazione del sistema scolastico e del processo educativo, oltre alla regionalizzazione del Fondo ordinario delle università. Ciò comporterebbe uno stipendio maggiore per gli insegnanti delle regioni del nord – e uno minore per quelli del sud – e un aumento delle risorse per le università del nord. Per le infrastrutture, infine, è stato richiesto il trasferimento di numerose tratte stradali e autostradali, comprese quelle in convenzione, già realizzate o in via di realizzazione, e l’ingresso in qualità di concedenti sulle reti ferroviarie. Ciò determinerebbe un maggior gettito tributario trattenuto dalle regioni del nord, a discapito delle altre regioni.
Per quanto riguarda il comparto della salute, è prevista una riduzione del fondo sanitario per 682 milioni e il certo abbattimento per il sud della spesa procapite (1.810 euro) oggi sostenuta dallo Stato per tutti i cittadini italiani.
Secondo i consiglieri regionali, poiché il costo della sanità in Italia è il 6,7 % del pil, un’ipotetica ripartizione di ricchezza per aree geografiche e per popolazione porterebbe a un aumento della spesa procapite per il nord (2.211 euro) e per il centro (1.963 euro), e a una correlativa riduzione per il sud (1.192 euro). E questo perché il 6,7 % del pil prodotto dalle regioni del nord incide per l’1,1 % del pil (11 miliardi) e che, con riferimento alle regioni Lombardia e Veneto, non è inferiore alla metà e cioè a 6 miliardi di euro.
“Questa che ci stanno propinando è un’autonomia che sa di fregatura. L’autonomia – ha spiegato il consigliere Fabiano Amati – è una modalità di esercizio dei poteri pubblici che si occupa dei problemi di interesse locale, ma se diventa una decisione politica non può prescindere dai superiori obiettivi di unità del Paese, eguaglianza dei cittadini, responsabilità nei conti. Il progetto di autonomia rafforzata dovrebbe inoltre essere accompagnato da un’analisi dei costi (economici e sociali) e delle norme, in primis quelle costituzionali che riservano ad alcune regioni una parte del gettito maturato nel territorio, per evitare di impoverire il fondo di perequazione nazionale, nato proprio per ridurre le differenze nell’erogazione dei servizi e senza una preliminare definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni condotta su base nazionale e tenendo conto dei limiti “storici” delle regioni meridionali”.
Di qui la necessità che la Puglia e le Regioni del Sud scendano in campo per ostacolare queste spinte autonomiste.
Insomma, saremmo di fronte, per dirla con Napoleone Cera, “ad un piano avviato da tempo dalla Lega a discapito dei cittadini del sud, che piuttosto che di misure assistenzialistiche, come il reddito di cittadinanza, hanno bisogno di posti di lavoro e migliori servizi”.
Per Donato Pentassuglia, inoltre, si tratta di “un tema importante per la sopravvivenza e la dignità del Meridione, che rischia di veder ulteriormente ridotte le risorse del fondo sanitario nazionale, con un grave pregiudizio per la salute dei cittadini. Siamo di fronte ad un governo che ha preso i voti al Sud, e a Taranto ma che alla città di Taranto, ad esempio, ha sottratto senza colpo ferire 60 milioni del Contratto istituzionale di sviluppo. Siamo davanti ad una ulteriore mortificazione della Costituzione che invece sancisce l’unità del Paese”.
Paese sul quale spira un vento di esasperato egoismo, ha sottolineato Francesca Franzoso, “che si declina dal nazionale al territoriale. Tutto questo – ha aggiunto – sta accadendo con la Lega arrivata al Governo anche con i voti del Sud. Un progetto, che se attuato, colpirebbe settori vitali come l’istruzione. Per esempio, accade che in Calabria si spendano 720 euro all’anno per studente, in Basilicata 700, in Puglia 620 euro. In Lombardia e Veneto, invece, 420 euro. Cosa accade, dunque: queste regioni chiedono il ricalcolo sulla media nazionale pro studente che è di 550 euro in modo da trattenere le risorse aggiuntive. Ma questi soldi da dove li prendono? Dal bilancio dello Stato per cui se a qualcuno occorre dare di più bisogna, necessariamente, togliere ad altri e non si capisce, al contrario, che se non si risolve la questione meridionale il nord alla lunga comincerà ad andare in sofferenza”.
Tutti uniti, quindi, per sventare quella che altro non è che “una secessione mascherata da autonomia, con l’unica differenza che questa volta si cerca il consenso del Mezzogiorno per affermare un modello-paese fondato sullo squilibrio tra le regioni del nord e quelle del sud”.