il 24 gennaio 2019, è stata pubblicata la sentenza della I Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa al caso Ilva.
Gli avvocati prof. avv Andrea Saccucci e l’avv. Roberta Greco , che rappresentano a Strasburgo presso la Corte dei diritti dell’Uomo i 130 ricorrenti del ricorso promosso dalla prof.ssa Lina Ambrogi Melle nel 2015, esprimono le loro osservazioni e la volontà di adire alla Grande Camera.
la Corte ha rigettato tutte le eccezioni preliminari sollevate dal Governo italiano (in particolare, quelle relative al mancato esaurimento dei rimedi interni e al mancato rispetto del termine di sei mesi).
Nel merito, la Corte di Strasburgo ha accertato la violazione del diritto al godimento della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) e del diritto ad un rimedio effettivo (art. 13 CEDU). Ha ritenuto, invece, di non doversi pronunciare sulla violazione del diritto alla vita (art. 2 CEDU), considerando tale profilo assorbito dall’analisi delle censure di cui all’art. 8 della Convenzione.
Con riferimento a quest’ultimo, la Corte ha stabilito chele autorità italiane non hanno adottato le misure necessarie a garantire la protezione effettiva del diritto alla salute dei ricorrenti.
In breve – ha ritenuto la Corte – “la gestione da parte delle autorità nazionali della questione ambientale relativa all’attività produttiva della società Ilva di Taranto, è, ad oggi, in stallo” (§ 171). Pertanto, la Corte ha constatato che la prosecuzione della situazione di inquinamento ambientalemette in pericolo la salute dei ricorrentie, più in generale, quella della popolazione residente nei Comuni a rischio (§ 172).
Quanto alla violazione dell’art. 13 CEDU, la Corte ha rilevato che non sussistono mezzi di ricorso interni attraverso i quali i ricorrenti avrebbero potuto lamentare “l’impossibilità di ottenere delle misure volte a garantire la bonifica delle zone coinvolte dalle emissioni nocive della fabbrica” (§ 176) anche in ragione dell’immunità penale e amministrativa accordata ai Commissari dell’Ilva ed ai futuri acquirenti.
Sebbene la Corte abbia accertato che la situazione di prolungato inquinamento ambientale mette in pericolo l’insieme della popolazione residente nelle zone esposte alle emissioni dell’Ilva, essa ha respinto la richiesta dei ricorrenti di adottare una particolare procedura, c.d. “sentenza pilota”, in esito alla quale avrebbe potuto condannare il Governo italiano ad adottare specifiche misure di carattere generale necessarie ad eliminare le cause “sistemiche” all’origine della situazione ritenuta in contrasto con la CEDU e anche ad assicurare un rimedio effettivo per le vittime.
La Corte ha, invece, ritenuto che, data la complessità tecnica delle misure necessarie a bonificare le zone interessate, non fosse necessario applicare la procedura descritta (§ 180), limitandosi a sottolineare l’opportunità che sia data esecuzione al Piano ambientale “nel più breve tempo possibile”. (§ 182).
Infine, la Corte ha deciso che la costatazione delle violazioni commesse dal Governo italiano costituisca una forma di “soddisfazione” sufficiente per i danni morali subiti dai ricorrenti. La Corte ha accolto parzialmente la domanda di refusione delle spese legali, che sono state liquidate incomplessivi€ 5.000,00,perciascun ricorso(e non per ciascun ricorrente).
La sentenza della Camera non è allo stato definitiva, in quanto entro tre mesi dalla sua pubblicazione entrambe le parti possono chiedere che il caso venga riesaminato dallaGrande Cameradella Corte (composta da 17 giudici).
La richiesta di riesame – che presumibilmente sarà presentata dal Governo italiano soccombente – viene sottoposta al giudizio preliminare di un collegio di 5 giudici (diversi dai 7 che componevano la Camera) il quale decide se il caso merita di essere nuovamente discusso dinanzi alla Grande Camera in ragione della complessità e dell’importanza generale della questione.
Se la richiesta di riesame viene accolta, si svolgerà un nuovo processo dinanzi alla Grande Camera nel corso del quale sarà fissata un’udienza pubblica di discussione. Se la richiesta viene, invece, respinta, la sentenza della Camera diventerà definitiva e sarà messa in esecuzione.
Tanto premesso, pur essendo molto soddisfatti per l’esito del ricorso dal punto di vista dell’accertamento pieno della responsabilità dello Stato italiano per la mancata protezione della salute dei residenti di Taranto dal grave inquinamento prodotto dall’Ilva, riteniamo che la Corte non abbia tratto le dovute conseguenze da un tale accertamento, lasciando alle autorità statali un margine di apprezzamento eccessivamente ampio nell’individuazione delle misure e dei tempi entro cui porre termine alle violazioni riscontrate, soprattutto in ragione delle plurime e decennali omissioni.
Per tali ragioni, considerando altresì che, con ogni probabilità, il Governo italiano presenterà una richiesta di riesame in Grande Camera, è nostra intenzione formulare analoga richiesta al fine di lamentare sia il mancato autonomo esame della doglianza relativa alla violazione del diritto alla vita (art. 2 CEDU), sia la mancata indicazione da parte della Camera della Corte di misure generali volte a porre termine alle violazioni accertate (art. 46 CEDU), sia il rigetto della domanda di indennizzo pecuniario per il danno morale subito dai ricorrenti (art. 41 CEDU).