La decima legge salva ILVA è un mostro giuridico.
E non poteva essere altrimenti dato che avevano fallito le dieci leggi precedenti.
Vediamo perché è un mostro giuridico.
PROROGA DEI TEMPI DI MESSA A NORMA DEGLI IMPIANTI ILVA
La messa a norma degli impianti di produzione di agglomerato, carbon coke, ghisa e acciaio doveva terminare, in base alla prima legge salva-ILVA entro il 1° luglio 2014. La copertura dei parchi minerali doveva essere completata entro il 27 ottobre 2015.
Se non si fosse rispettato il cronoprogramma delle prescrizioni per la messa a norma l’ILVA era passibile di una multa pari al 10% del fatturato. Questa prima legge salva-ILVA rispondeva alla magistratura che invece aveva disposto il fermo degli impianti perché pericolosi per la salute umana. I successivi decreti, poi convertiti in legge, hanno “ammorbidito” il piano della messa a norma, facendolo slittare un po’ alla volta al 30 luglio 2017.
Con la decima legge salva-Ilva si concendono altri 18 mesi di tempo per la messa a norma di tutti gli impianti.
PIANO AMBIENTALE FAI-DA-TE
Non solo. L’eventuale acquirente ha la facoltà di fare delle variazioni al piano di messa a norma degli impianti e di farsene uno a proprio piacimento, vagliato da un “comitato di esperti” che, se lo dovessero bocciare, farebbero saltare in aria l’intera procedura. Quindi è difficile che gli “esperti” si prendano la responsabilità. Non sarà difficile trovare gli “esperti” per approvare – nell'”interesse nazionale” – un’operazione che di tecnico ha solo l’alleggerimento dei costi da sostenere. Si capovolge la logica della autorizzazione europea AIA che viene elaborata dallo Stato e fatta rispettare al privato. Qui è il privato a decidere cosa mettere a norma e come farlo. Non solo.
E SE POI SI AMMALANO LE PERSONE? SE MUOIONO?
Nessun problema, è prevista l’immunità penale per l’intero arco di tempo della messa a norma degli impianti secondo questa logica “al rallentatore” che sposta di anno in anno quello che da tempo doveva essere fatto. La vera mostruosità di questa legge già mostruosa sta nel garantire una impunità di principio che nessuna legge al mondo fornisce in forma così plateale.
E I SOLDI?
Nessun problema, almeno per il governo, inquanto li garantisce lo Stato e chi acquista non li deve neppure restituire. E chi li mette i soldi? I contribuenti. Tutto questo prelevando 400 milioni di euro dalla Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali, ossia aumentando le bollette energetiche di famiglie e imprese, tanto che a protestare sono intervenute non solo le associazioni dei consumatori ma persino l’AEESI, ossia l’Autorità per l’energia, segnalando che la manovra finisce per “gravare sulle bollette energetiche di famiglie e imprese”.
Non solo: saranno usati anche i soldi dei risparmiatori postali, mettendo a rischio la solidità e la mission di quella Cassa Depositi e Prestiti che dovrebbe investire il denaro dei risparmiatori solo e soltanto in imprese dotate di stabile equilibrio finanziario e di prospettive di reddidività. E’ il caso dell’ILVA? Assolutamente no. Sono cose che non può offrire l’ILVA, appesantita da tre miliardi di perdite e che deve fronteggiare un mercato dell’acciaio in tempesta che non offre margini di profitto né per il presente né per il prossimo futuro, in quanto le aziende siderurgiche sono alle prese con forti rischi e consistenti perdite. Chi allora restituirà alla Cassa Depositi e Prestiti i soldi dei risparmiatori postali che investono nei buoni fruttiferi pensando di fare un buon investimento? Vi saranno problemi di restituzione dei soldi dei Buoni Fruttiferi?
Questa è la ragione per cui la Cassa Depositi e Prestiti – che sarà coinvolta in prima persona in una eventuale procedura di acquisto dell’ILVA – sta subendo una campagna di boicottaggio – soprattutto per ragioni etiche – da parte di chi non vuole dare i propri soldi per tappare le perdite dell’azienda.
Oltre alla campagna di boicottaggio si profila l’intervento della Commissione Europea che, per garantire la concorrenza sul mercato, non può consentire gli “aiuti di stato” in favore di un’impresa a danno di altre, in base all’art. 107 del TFUE (Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea).
Alessandro Marescotti