Lo diciamo con rammarico e preoccupazione: ma tra quei dipendenti che lunedì hanno ricevuto la fredda comunicazione di “allontanamento” dalla fabbrica, ci sono almeno un centinaio di operai che, per infortuni sul lavoro o malattie professionali, per quell’azienda hanno sacrificato il bene più prezioso.
Così Emidio Deandri, segretario provinciale dell’ANMIL di Taranto, che interviene all’indomani dell’arrivo della mail certificata che mette in cassa integrazione a zero ore 2586 dipendenti ILVA, considerati in “esubero” strutturale e quindi in cassa integrazione fino al 2023.
Molti di loro hanno storie personali che l’azienda avrebbe dovuto prendere in considerazione, ma mi rendo anche conto – spiega Deandri – che dietro la procedura che non consente neanche un “grazie”, un “arriverderci” o una stretta di mano, quelle storie sono solo numeri nella mera equazione produttiva che i nuovi affittuari hanno messo in atto.
Ma cosa accadrà dopo, si chiede l’ANMIL.
I più ottimisti sperano in una ricollocazione – dice Deandri – ma mi piacerebbe sapere dai sindacati con quali criteri si è proceduto, considerata parità di età, di carichi familiari, e nel caso in questione di fronte a patologie strettamente connesse alla vita lavorativa in quella fabbrica.
Noi come ANMIL, abbiamo il dovere di tenere alta l’attenzione su questo tema – sottolinea ancora il referente dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi da Lavoro – Facciamo domande e gradiremmo risposte, proprio per chi dal 1° novembre non avrà più attivo il suo badge di ingresso alla fabbrica e a quei processi comincerà ad essere estraneo.
Taranto, 31 ottobre 2018