Domenica 25 ottobre la Libreria – Caffè Letterario “Mangiaparole”, in Via Manlio Capitolino #7 a Roma, ha ospitato la presentazione de “Il Mostro di Rabbia & d’Amore”, silloge di poesie e aforismi di Vincent Cernia, all’anagrafe Vincenzo De Marco, edita da Letture Animate. Ha dialogato con l’autore l’attore e scrittore Luigi Pignatelli, presidente dell’Associazione Culturale Hermes Academy Onlus – Arcigay Taranto, che ha dato lettura delle pagine più significative del libro, coinvolgendo un pubblico folto e attento.
Nel corso dell’incontro è stato proiettato un video fotografico creato da Gianfranco Curto, in cui la dicotomia tra le bellezze di Taranto e le brutture dello stabilimento siderurgico si fa forte e concreta.
Grottagliese, Vincent Cernia, al secolo Vincenzo De Marco, noto come il Poeta Operaio, è autore di una poesia che egli stesso definisce non solo operaia, ma amore, poesia visionaria, rock, amicizia, pensieri contorti. Luigi Pignatelli così descrive l’opera edita Il Mostro di rabbia e d’amore: «Cantami, o Musa, l’ira funesta dell’eroe d’acciaio. Parafrasando Omero, così scrissi nell’incipit del mio primo libro, Pagine di diario, nel 2005. Dieci anni dopo, Vincent Cernia rievoca gli antichi fasti di Taras, nel prologo del suo diario di bordo, con una dichiarazione d’amore alla città e all’intera provincia, a cui il poeta sente di dovere fedeltà, devozione e protezione. L’arte è un parto, apertura che dona e si dona, lacerazione di mente e carne. Il poeta operaio, 38 anni di cui 15 in Ilva, nell’ade dell’altoforno 4, schiude il vaso di Pandora. Malgrado l’inquinamento ambientale e intellettuale, la speranza, nutrita dal calore degli affetti, resta, dentro e fuori la fabbrica, nella curva quotidiana del divenire, e si veste di poesia. Le pagine, segnate dal sudore dei colleghi-fratelli che sopravvivono e di quelli che non ci sono più, sanno di sangue, terra, fumo e cemento. La lotta di Vincenzo ha avuto inizio il giorno in cui l’operaio Darcante ha cessato di esistere, di resistere. Il momento del distacco (e come questo tanti altri) si cristallizza, il ricordo si fa monito, nell’altare della memoria su cui il vuoto di una mano profana non può e non deve spegnere il pieno del nostro esistere, resistere, coesistere.»