Signor Presidente,
Onorevoli colleghi,
Appena una settimana fa lo stabilimento ILVA di Taranto è tornato a far parlare di sé. Questa volta l’occasione non è stata rappresentata dagli strascichi del passaggio dell’azienda al colosso siderurgico franco-indiano “ArcelorMittal”, ma da un incidente che sebbene non abbia provocato conseguenze rilevanti è stato in grado di destare allarme ed inquietanti interrogativi.
Causa di tutto è stata una fuga di gas (per la precisione, monossido di carbonio) proveniente da una tubazione dell’impianto denominato Og1 che era sottoposta a bonifica. A dimostrazione della pericolosità dell’accaduto, è stata immediatamente disposta l’evacuazione di alcune decine di lavoratori che stavano prestando servizio fra due Altiforni, i cosiddetti AFO1 e AFO2.
La decisione di far allontanare i dipendenti dal luogo dell’accaduto è stata adottata dalla direzione dello stabilimento a scopo precauzionale. Come reso noto da fonti aziendali, tutto è rientrato nella norma in un paio di ore, ma questo di certo non basta a sminuire la portata di quanto successo. Ad oggi non risulta che siano state fornite notizie capaci di far capire quali effetti quella fuga di gas abbia potuto provocare alla salute di operai e cittadini. Un’incertezza ed una mancanza di informazioni che non lasciano affatto tranquilla una città ormai rassegnatasi a convivere con tutto ciò che le riserva la “grande industria”. L’ILVA, che è il più imponente stabilimento siderurgico in Europa, va avanti da decenni con impianti obsoleti e che difettano in sicurezza. Una situazione strutturale che dovrà esser tenuta in debito conto dagli acquirenti del complesso industriale tarantino, magari intervenendo subito senza attendere la scadenza dell’agosto 2023 per la definizione del cronoprogramma, garantendo comunque gli standard di tutela ambientale, preoccupandosi di evitare il ripetersi di incidenti con emissioni non convogliate (tanto pericolose quanto insidiose) e riflettendo sul fatto che con livelli produttivi superiori ai 6 milioni di tonnellate all’anno si espone la popolazione ad un altissimo rischio cancerogeno. Un rischio che in riva al Mar Jonio viene corso quotidianamente. Un rischio che Taranto ed i suoi abitanti sono stanchi di dover affrontare.