È un fenomeno che sembra lontano anni luce dai nostri luoghi, che si attaglia maggiormente a un contesto metropolitano e invece ci lambisce o addirittura capita di imbattersi. È quanto accaduto qualche giorno addietro in Latiano, dove una donna ha segnalato alla centrale operativa dell’Arma la presenza in strada di una giovane con ferite alle braccia. Sul posto i Carabinieri hanno identificato una ragazza poco più che 20enne, originaria della provincia di Gorizia, seduta per terra sul marciapiede con tagli al braccio sinistro e in stato confusionale. Attivata un’ambulanza e trasportata al Pronto Soccorso, è stata dimessa con la diagnosi di “postumi di lesioni autoinflitte”. I Carabinieri hanno ricostruito gli ultimi giorni della giovane trascorsi in provincia di Brindisi e hanno accertato che da qualche tempo attraverso i social ha conosciuto una persona più grande di lei che l’ha invitata ospitandola in un B&B. Poiché la ragazza dopo qualche giorno di permanenza ha programmato di tornare in Friuli, presa dallo sconforto in quanto asseritamente ha perso un treno utile, si è praticata dei tagli sull’avanbraccio sinistro. Nella circostanza ha rappresentato ai militari che da qualche giorno sta partecipando al “social media game” “blue whale challenge”, ha raccontato delle regole che regolamentano il “gioco”, e che ogni gesto che compie lo pubblica su facebook mediante una chat dedicata. In sostanza la ragazza col gesto autolesionista praticato ha attuato una delle regole e precisamente la numero 3 che prevede dei tagli sul braccio, anche se non è riuscita a pubblicare le foto sulla piattaforma facebook e le ha inviate a mezzo WhatsApp ad sua amica definita “compagna di vita”. Attualmente la ragazza è ripartita, ha raggiunto i genitori in Friuli Venezia Giulia, con i quali sta ricostruendo un rapporto fiduciario. A seguito della vicenda i Carabinieri di Latiano hanno denunciato in stato di libertà un 24enne del luogo per il reato di favoreggiamento personale nei confronti di soggetti da identificare responsabili di “istigazione al suicidio”. Il 24enne conosce la ragazza da tempo, l’ha ospitata, ed è al corrente delle regole del “gioco”; interloquito ha sottaciuto alcuni importanti particolari sulla vicenda. Dal suo racconto sono emerse alcune incongruenze, in ultimo –è stato l’ultima persona a stare in camera con la ragazza- non ha rivelato che la giovane si era autoinflitta i tagli sulle braccia.
La “sfida della balena blu” è un “gioco” venuto alla ribalta nel 2016 e balzato alle cronache per “l’allarme sociale” che suscita, poiché rappresenta l’aspetto fuorviante dell’utilizzo dei social network. Il suo funzionamento è semplice, ed è facile rimanere invischiati, è una sorta di tela ordita nei confronti del malcapitato o della malcapitata di turno. Un soggetto denominato “curatore” attraverso i social prospetta ai partecipanti, per lo più giovani, una serie di prove, la condizione per partecipare è tenere all’oscuro di tutto i genitori. Le prove consistono nell’adempiere a 50 precetti di natura autolesionistica, uno al giorno, sempre più articolati in un crescendo fino al suicidio che rappresenta l’ultima regola la 50esima. Al cosiddetto “curatore o tutor” devono essere giornalmente fornite le prove che confermano l’esecuzione delle regole e che consistono in video, foto e testimonianze. Questo soggetto ha il compito di seguire costantemente l’attività delle vittime con l’assegnazione di compiti quotidiani sino al cinquantesimo, la cui prova consiste nel lanciarsi da un palazzo, filmandosi. Purtroppo questo “gioco” pare abbia avuto presa tra i giovani e ne avrebbe portato al suicidio alcuni, anche se vi sono dubbi sulle prove riguardanti il numero dei decessi. Il nome che gli è stato attribuito “sfida della balena blu” è evocativo delle balene spiaggiate che vanno incontro alla morte. Essi sono gli unici animali che si suicidano senza una ragione. Molti giovani si sono approcciati al gioco per mera curiosità rimanendo poi coinvolti. L’evidenza del “gioco” si manifesta in coloro che vi partecipano con le ferite, infatti la prima prova è quella di incidere con un rasoio sulla mano una sigla, e per documentarlo bisogna inviare una foto al “curatore”, il quale comunicherà all’interessato di alzarsi alle 4 di mattina e guardare dei video horror che lui invierà. E in un crescendo inviterà “la preda” a procurarsi dei tagli sul braccio ed ancora altre prove autolesionistiche che devono essere tutte documentate, sino all’epilogo, l’ultima prova. Quindi è importante accorgersi delle evidenze, alcuni segni esteriori che sono sintomatici da cui eventualmente comprendere che vi è qualcosa che non va nel proprio figlio/a. Questi segnali sentinella rappresentano un campanello d’allarme, anche per coloro i quali sono impegnati quotidianamente nella repressione dei reati e nella salvaguardia dell’incolumità dei giovani.