Cardinale Angelo Bagnasco,
ogni parola ha un significato. Sempre. Una dietro l’altra, le parole formano una frase, spesso di senso compiuto e a volte senza possibilità di interpretazioni personali. Più la persona è nota ed influente, più la frase penetra le menti fino a trasformarsi in dogma, una verità che si accoglie senza discussioni.
Anche se a dirlo è un alto prelato, resta per noi inaccettabile che il lavoro debba venire prima di tutto. Da lei, Cardinale Bagnasco, avremmo voluto sentire che “la giustizia deve venire prima di tutto” perché è questa la verità. La “giustizia” è la vera emergenza, nella nostra nazione.
Lo abbiamo già scritto, ultimamente, anche ad alcuni Ministri del nuovo Governo italiano: “Fiat iustitia, ruat caelum” (Sia fatta giustizia, anche se i cieli cadono), nella ferma convinzione che la giustizia debba prevalere, senza farsi condizionare dalle conseguenze che ne potrebbero derivare.
La giustizia che vince sulle ingiustizie: questa è l’urgenza vera di Taranto.
Se lavorare significa sottomettersi, avvelenarsi, ammalarsi e morire; se una produzione avvelena, fa ammalare e porta alla morte cittadini innocenti; se un certo tipo di lavoro porta all’aumento della disoccupazione, procura danni irreparabili all’ambiente, costringe i più giovani a cercare altrove una occupazione (lasciando qui una popolazione sempre più vecchia e sempre più ammalata); se quella produzione inquinante porta i genitori a seppellire i figli; se per produrre ricchezza si deve uccidere il Creato, allora le sue parole (“Il lavoro deve venire prima di tutto”) qualcuno potrà anche giustificarle. Non noi.
Nel “Cristo di San Giovanni della Croce”, il famoso quadro di Salvador Dalì, si può ammirare Gesù che, ancora crocifisso, dall’alto guarda verso uno specchio d’acqua tranquillo e due uomini accanto ad una barca, uno di questi intento a sbrogliare una rete da pesca. Non le chiederemo di venire a trovarci, Cardinale Bagnasco, perché forte sarebbe la tentazione di accompagnarla nella Chiesa del Gesù Divino Lavoratore per farle ammirare il capolavoro che campeggia proprio dietro l’altare. E’ un mosaico che rappresenta il Cristo che, dal Ponte girevole di Taranto, benedice varie categorie di lavoratori, tutti con lo sguardo verso la sacra figura, tranne uno che, seduto, gli volta le spalle e continua nella sua attività. Chi è costui? Quale attività svolge? Verrà anche lui benedetto? Poco importa, visto che con la mano sinistra, Gesù Cristo indica delle ciminiere e il suo sguardo sembra a queste rivolto. Nella città figlia del mare, la produzione inquinante ha prevaricato, ferito ed infine ucciso le produzioni proprie del nostro territorio. Anche questa ci sembra materia per la “giustizia”.
Da arcivescovo metropolita di Genova, una città prima duramente colpita dallo stesso inquinamento da produzione di acciaio che affligge i tarantini e poi graziata, ci saremmo aspettati parole di comprensione del nostro dramma e vicinanza alle nostre sofferenze; ci saremmo aspettati, da un uomo di chiesa, una classifica che vedesse ai primi posti il rispetto e la difesa della vita, della salute, del territorio. Sembra, invece, che, liberata Genova dal problema trasferito a Taranto, il cielo sia tornato azzurro, gli uccelli siano tornati a cantare e le stelle ad illuminare la notte e che tutti stiano finalmente vivendo felici e contenti. In ogni dove, tranne che a Taranto.
Genitori tarantini