Qualunque esso sia, il governo che si andrà a delineare dopo le consultazioni del 4 marzo dovrà guardare con grande obiettività e senso di responsabilità alle questioni ancora in gran parte sospese che riguardano Taranto e la sua provincia. Al di là delle valutazioni di altro genere, un dato incontrovertibile è quello che emerge negli ultimi cinque anni e che attiene la corsia privilegiata costruita progressivamente fra il Governo e la nostra città a seguito delle note vicende sulla grande industria che hanno acceso un riflettore pressoché permanente sulla nostra area, facendo venire alla luce altre necessità e non poche urgenze.
Il perché è noto pressoché a tutti. Reduce da una recessione congiunturale senza precedenti, stravolta da una significativa flessione dei consumi, vessata dalle pesanti problematiche derivanti dalla vicenda Ilva, Taranto, seconda città più industrializzata dal Mezzogiorno, si è ritrovata alle prese con un tessuto economico sfilacciato e povero di vivacità produttiva. L’asse dell’attenzione del Governo si è spostata quasi contestualmente dalla questione siderurgia ad altri asset fondamentali, quali l’Arsenale, la città vecchia, la sanità, il Porto, il polo museale, investendo tutto il sistema Taranto nella sua complessità e nelle sue multiformi espressioni, che l’hanno talvolta portata alla denominazione di città-pilota o laboratorio ambientale d’Italia, in quanto terreno di sperimentazione di interventi inediti e quindi per molti aspetti apripista (pensiamo al conio di “area di crisi industriale complessa”) rispetto ai percorsi di altre realtà similari.
Tutto questo ha prodotto – in una città già di per sé contraddittoria e mai realmente solidale con se stessa – un coacervo di dibattiti, polemiche, teoremi concettuali e anche ostruzionismi che hanno reso questo filo diretto col Governo molto intricato. Ma tant’è. E’ un filo che va tenuto saldo e reso ancor più resistente se si vuole evitare di vanificare quanto di buono fatto finora, in termini sia di investimenti sia di proposte progettuali. Pensiamo al Cis, al Masterplan per il Sud, all’Accordo di Programma ancora in itinere. Vogliamo andare nello specifico? Pensiamo alle Zes, che pur di competenza regionale nascono con l’ultima legge del Governo sul Mezzogiorno. Pensiamo al Porto, sul quale l’attenzione governativa è stata finora alta affinchè si trovassero nuovi players in grado di prendere il posto lasciato da Tct. E pensiamo, last but not least, allo stato di avanzamento dei lavori di risanamento ambientale per Ilva e non solo. La lista potrebbe proseguire ma quanto scritto rende già abbastanza, forse, l’idea di quanto è stato fatto e quanto ancora c’è da fare. Ecco perché, responsabilmente, sentiamo di fare, oltre che un appello ai cittadini affinchè esercitino responsabilmente il loro diritto-dovere, un doveroso richiamo ai politici che domani si insedieranno affinchè esercitino e applichino, a loro volta, un sano buon senso.
Noi, come Confindustria, stiamo lavorando per quello che da Viale dell’Astronomia indicano come “Progetto Paese”.
Le Assise Generali di Confindustria chiusesi qualche giorno fa a Verona sono state una imperdibile occasione di dibattito e condivisione – di tutto il sistema Confindustria nelle sue varie articolazioni – dei temi che in questo momento più ci stanno a cuore, costituendo una sorta di vademecum imprescindibile ancor di più nell’imminenza del voto che chiamerà gli italiani alle urne il prossimo 4 marzo.
E’ indubbio, infatti, come queste tematiche siano di particolare interesse in vista della scadenza elettorale; ancor di più lo sono, tuttavia, in virtù di un progetto di rivisitazione del Sistema Paese “disegnato” sulla base delle reali istanze emerse nelle quattordici tappe – da Pordenone a Gioia Tauro – che hanno preceduto e preparato le Assise, e dal recepimento di centinaia di suggerimenti venuti dal Sistema.
Il documento di politica economica presentato in occasione delle Assise Generali non solo dice cosa va fatto, ma anche come, con quali risorse, e con quali effetti sull’occupazione, la crescita, il debito pubblico, l’export.
Senza tuttavia entrare nel merito del piano, tre sono le “missioni Paese” individuate da Viale dell’Astronomia:
1) un’Italia che include, attraverso la creazione di opportunità di lavoro, soprattutto per i giovani; 2) un’Italia che cresce, di più e in modo costante; 3) un’Italia che rassicura, con il graduale rientro del debito pubblico. Contestualmente, vengono individuati gli “attori” che devono portare avanti tali mission: le imprese; l’Europa; la politica nazionale.
Le azioni per raggiungere gli obiettivi delle tre missioni-Paese sono molteplici, toccano tutti gli ambiti dell’economia, richiedono spesso cambiamenti organizzativi, a volte risorse pubbliche e intensità differenziate per territorio.
Molte di queste sono già appannaggio della nostra Confindustria, abituata probabilmente più di tante altre alla gestione di criticità territoriali – il caso Ilva è in questo senso un esempio emblematico ma non isolato – ed alla elaborazione di strategie consone ad affrontare tali problematiche, siano esse endogene che esogene. Abbiamo ritrovato, fra le tematiche discusse, temi a noi cari- e in corso di realizzazione- come l’industria 4.0, intesa essenzialmente come accompagnamento delle aziende nei processi di ricerca e innovazione; come l’economia circolare, più volte oggetto di momenti di condivisione anche pubblici, che costituisce per noi un modello di green economy di cui tener conto anche nella logica, più volte dibattuta, della cosiddetta simbiosi industriale; abbiamo verificato e proposto, da tempo, la valenza del recupero dei crediti Iva nelle ipotesi di imprese in procedura fallimentare o amministrazione straordinaria; da anni ci battiamo per un abbattimento della burocrazia e per lo snellimento delle procedure amministrative, come è oramai nel nostro Dna l’esigenza di un ricambio generazionale che parta proprio dalla pubblica amministrazione. E ancora: scuola, formazione, inclusione giovani per un più facile ingresso nel mondo del lavoro. L’alternanza scuola-lavoro è uno dei terreni sui quali questa Confindustria si misura per far sì che dai percorsi formativi possa nascere anche buona occupazione.
A Verona, non a caso, i nostri imprenditori sono intervenuti nel corso dei tavoli tematici organizzati in occasione delle Assise per testimoniare la loro costante opera sul territorio a favore del rilancio e della crescita delle imprese: erano presenti al Palafiera fra gli altri, assieme al sottoscritto, al vicepresidente Antonio Marinaro e al direttore Mario Mantovani, Salvatore Toma, Paolo Campagna, Luigi De Filippis, Giuseppe Calianni a rappresentare, rispettivamente, il tessile-abbigliamento, l’Ance, le Pmi e i giovani industriali.
Ad accomunarli, al di là delle diversificate esigenze e delle azioni portate avanti, una voglia di cambiamento – in positivo – della percezione che le stesse imprese vogliono produrre sui territori, da intendere finalmente non più come semplici portatrici di interessi e di rendite di posizione ma come produttrici di ricchezza e di benessere, quindi di sviluppo e occupazione.
Questo è il tipo di “ritorno” che il sistema imprenditoriale vorrebbe si realizzasse nelle aree in cui opera, a conferma di un cambiamento culturale prima ancora che economico che nasce da profonde trasformazioni in atto nella società. Noi, le imprese, di questo cambiamento siamo già e vogliamo continuare ad essere protagonisti, accettando di aprire il capitale, di assumere competenze innovative, di diventare eccellenti in ogni funzione aziendale, di affacciarci su nuovi mercati. Dalla politica pretenderemo di essere affiancati lealmente in questo percorso, remando, al di là degli schieramenti dai quali siamo e saremo equidistanti, lungo la stessa direzione, quella di una crescita ecosostenibile, condivisa e possibile.
Vincenzo Cesareo
Presidente di Confindustria Taranto