Oggi il quadro illustrato dal Ministro Calenda è stato serio, coerente e concreto, al contrario di quanto è accaduto sino ad oggi in termini di tempo perduto su ambientalizzazione e rilancio aziendale. In questa vicenda dal 2012 ad oggi giocano responsabilità diffuse, in particolare degli enti locali nel rallentare, con burocrazia interminabile e nei fatti, l’attuazione di quanto prescritto dal Piano ambientale e dell’AIA.
Oggi è giunta l’ora che ognuno torni a fare la propria parte per quello che gli compete. Il presidente della Regione deve smetterla di dire che c’è una parte che difende i bambini e la città di Taranto dai tumori e l’inquinamento, e un’altra, il sindacato, che non se ne occupa.
Sono affermazioni gravi che non si possono ascoltare soprattutto se vengono da chi ricopre ruoli istituzionali. Ciascuno si dedichi con impegno al proprio pezzo, in particolare per quel che riguarda la sorveglianza e i problemi sanitari e si dia una mossa per procedere alle nomine sugli osservatori che attendiamo da tempo.
Nel quartiere Tamburi e a Taranto l’odio non c’è per la fabbrica – una consultazione tra i cittadini lo ha confermato tempo fa – ma c’è odio e sfiducia per l’inconcludenza delle amministrazioni locali per rendere ambientalmente sostenibile la produzione dell’acciaio.
Per trovare una soluzione va ritrovato il buonsenso che fino ad oggi non c’è stato. I tempi dell’eventuale giudizio del ricorso li conosciamo e rischiano di far saltare tutto: Regione e Comune ritirino ricorso, basta giocare sulla pelle dei lavoratori e dei tarantini.
Se il 9 gennaio si ferma la fabbrica preparatevi ad un’invasione della Regione e del Municipio contro tutti coloro che giocano a danno della salute e dell’occupazione, due valori che in tutto il mondo sono compatibili ma che in Italia sono in contrapposizione.
Roma, 20 dicembre 2017