Dopo la pausa di una settimana, dovuta al fatto che Pignatelli era a Roma sul set di una nuova produzione cinematografica, venerdì 13 febbraio a partire dalle ore 16.00, prosegue, presso la comunità terapeutica “Il Delfino”, in località San Vito a Taranto, il laboratorio di scrittura e drammatizzazione tenuto dall’attore e formatore Luigi Pignatelli, per mezzo del quale gli ospiti, venti uomini tarantini e napoletani la cui età anagrafica varia tra i 19 e i 56 anni, stanno avendo modo di scoprire, ampliare, modificare, incrementare, trasformare il vissuto intrapersonale, interpersonale e sociale, in un percorso di rinascita dopo il tunnel della tossicodipendenza.
“Le ideologie ci separano, i sogni e le angosce ci riuniscono.” Eugène Ionesco docet.
Il laboratorio è partito nella primavera del 2014. La prima fase si è conclusa lo scorso fine dicembre. In questa seconda tranches di incontri, gli ospiti della comunità terapeutica “Il Delfino” sono impegnati nella preparazione di un personale adattamento de La Cantatrice Calva e de Le Sedie dell’autore rumeno, francese di adozione.
Nel corso dell’incontro odierno, continuano l’analisi del testo di Ionesco “Le Sedie”, dal punto di vista della drammaturgia, e la realizzazione delle 36 sedie, personaggi muti di questa pietra miliare nella storia dello spettacolo teatrale. I ragazzi creeranno un’installazione artistica originale, che ha tutti i presupposti per prendere vita nella messa in scena performativa, prevista per i giorni che precedono la Pasqua.
Eugène Ionesco è stato uno scrittore e drammaturgo francese di origini romene. Attraverso il teatro, Ionesco si interroga sulla vita e sulla morte, esplora il reale. Il teatro è catabasi, è discesa nell’inferno, l’inferno del suo io, ossessionato dal doppio stato esistenziale: evanescenza e pesantezza, luce e tenebra. L’universo drammatico di Ionesco ha come sfondo un paesaggio onirico, espressione spettacolare dei suoi incubi, dei suoi fantasmi. I personaggi non sono eroi in senso classico, ma individui senza psicologia, che parlano per formule convenzionali, per clichés e luoghi comuni: sono uomini vuoti. Il teatro ioneschiano è certamente figlio del Novecento: le sue strutture, così antiteatrali e anticonvenzionali, sono da collegarsi con le esperienze artistiche del Dada e del Surrealismo per il gusto per la provocazione beffarda e polemica. Il nonsense, però, non si estingue in mero gioco, ma cela una critica ben più profonda: al conformismo e alla banalità in primo luogo. L’evasione porta sempre al nulla, al banale e l’unica soluzione è accettare la vita nella sua contraddittorietà: nei suoi elementi alienanti come nei suoi autentici valori. Questo “Nuovo Teatro” rimette in discussione le forme tradizionali del teatro, considerate logore e inadatte al mondo moderno. Utilizzando la parodia e l’eccesso, i nuovi drammaturghi contestano ciò che, per secoli, è stata la funzione del teatro. Rifiutando il realismo nella tinteggiatura dei caratteri o nella descrizione dei comportamenti sociali, essi si rifiutano di considerare il teatro come riflesso della realtà quotidiana. Essi propongono un teatro metafisico, che metta in scena personaggi il cui valore simbolico testimoni la situazione dell’uomo nell’universo. Per raggiungere questo scopo, trasformano l’azione del teatro tradizionale, sostituendo all’accumulo di fatti aneddotici della trama un gioco sul linguaggio.