Il carico di pet coke, 53mila tonnellate stoccate nella nave GH Rich Wall, proveniente da Houston (USA) che ha ormeggiato a partire dallo scorso 8 agosto alla banchina del Molo Polisettoriale di Taranto, è destinato alla Italcementi S.p.A., che utilizza tale prodotto per il riscaldamento dei forni nella produzione di cemento, come da dichiarazione presentata alla Agenzia delle Dogane di Taranto.
È questa parte della risposta che il direttore di Arpa Puglia Taranto, dott.ssa Maria Spartera, e il direttore del servizio territoriale, dott. Vittorio Esposito, hanno fornito al consigliere regionale Gianni Liviano in seguito ad una sua specifica richiesta avanzata al direttore di Arpa Puglia, dott. Vito Bruno, sfociata anche in una interrogazione urgente al presidente del Consiglio regionale e all’assessore regionale all’Ambiente, Filippo Caracciolo.
Come si ricorderà, la notizia della presenza nel porto di Taranto di un carico di pet coke era stato portata all’attenzione dell’opinione pubblica dall’associazione ambientalista PeaceLink insieme ad una serie di dubbi e perplessità. Denuncia ripresa, appunto, dal consigliere regionale Liviano che, a stretto giro di posta, si è attivato presso le istituzioni competenti per avere più informazioni e, soprattutto, rassicurazioni sul caso.
Risposte che sono arrivate. “Lo scorso 11 agosto, mi scrive Arpa Puglia, con mail indirizzata ad Italcave S.p.A., il Dipartimento ha chiesto dettagliate informazioni sul carico della nave M/N GH RICH WALL (operazioni di sbarco del pet coke, movimentazione, destino), rammentando l’osservanza delle disposizione di legge in termini di tutela ambientale e che, in quella stessa data – spiega Gianni Liviano -, Italcave ha riferito che la nave ha ormeggiato nel porto di Taranto per sbarcare 52.783,150 tonnellate di coke di petrolio e che il carico in questione non è un rifiuto, in quanto, mi scrive Arpa, non è soggetto alle disposizioni del regolamento CE N.1013/2006 e che eventuali eccedenze di prodotto potranno essere vendute a grossisti”.
Sempre nella risposta di Arpa si legge che nella scheda dati di sicurezza Coke di petrolio, Italcave specifica che il preparato non rientra in alcuna classe di pericolo per il trasporto di merci pericolose e non è, quindi, sottoposto ai relativi regolamenti modali (trasporti via mare, su strada, per ferrovia, via aria) e che si occupa dello sbarco del prodotto presso il molo polisettoriale di Taranto, del trasporto fino al proprio deposito intermedio, della custodia della merce in deposito e della successiva ricarica per il trasporto alla cementeria di destinazione, al momento, prevalentemente, quella di Matera”.
Infine, per quanto riguarda l’osservanza di quanto prescritto dalle disposizioni di legge in ambito di tutela ambientale, “Italcave – spiega ancora Liviano facendo riferimento a quanto scritto nella lettera da Arpa – ha esplicitato l’osservanza delle prescrizioni adottate in adesione alle procedure ambientali individuate per l’ottenimento ed il mantenimento della registrazione EMAS ovvero: utilizzo di tramogge aspirate e depolverate; l’allocazione di scivoli metallici per evitare la caduta accidentale in mare delle merci alla rinfusa; l’utilizzo di una macchina spazzatrice per la costante pulizia delle aree di lavoro; il monitoraggio in autocontrollo durante le attività di movimentazione di materiali alla rinfusa. Arpa – aggiunge il consigliere regionale tarantino – comunica, anche, che gli esiti del controllo, peraltro svolto con funzioni di polizia giudiziaria, sono tuttora in corso di approfondimento”.
Risposte dettagliate, “di cui ringrazio i dirigenti di Arpa Puglia”, che però non esimono “dal continuare a tenere alta la guardia in una realtà, quella tarantina, alle prese con una grave e delicata situazione ambientale che si riflette, con effetti devastanti, sulla salute dei tarantini. Non a caso, nella mia interrogazione urgente depositata lo scorso 11 agosto, ho chiesto di sapere se questo ulteriore scarico di pet coke possa preludere alla trasformazione del porto di Taranto in un hub dedicato a questo tipo di operazioni che, nonostante tutte le precauzioni del caso, rivestono una certa pericolosità data, anche, la natura inquinante e cancerogena del prodotto”.