Nella parte settentrionale di entrambi i seni del Mar Piccolo di Taranto sono localizzate rispettivamente 20 e 14 sorgenti sottomarine, che apportano acqua dolce non potabile mescolata con acqua salmastra a contenuto variabile di sali. In corrispondenza, i fondali del Mar Piccolo, normalmente poco profondi (dai 10 ai 12 m con un massimo di 14 m nel seno più esterno, dai 6 ai 9 m con un massimo di 10 m in quello più interno), presentano fosse anche di 30 m dovute all’azione erosiva dei flussi d’acqua sorgiva. Il più ampio di questi citri, il cui vortice era visibile anche in superficie fino alla metà degli anni sessanta (salvo alcuni brevi intervalli durante la siccità dell’estate del 1927), si trova però nel Mar Grande di Taranto ed è chiamato “Anello/Citro/Occhio di San Cataldo”, con riferimento da un lato alla sua forma circolare e dall’altro alla leggenda che narra come il santo irlandese (VII secolo), nel giungere a Taranto, avrebbe gettato il proprio anello pastorale in mezzo al mare per placare una tempesta e provocando così la formazione del gorgo.
La gran quantità d’acqua dolce riversata continuamente in mare dai citri tarantini in punti abbastanza circoscritti comporta sia una sensibile e costante diluizione della salinità delle acque marine circostanti, soprattutto in profondità, sia un loro altrettanto sensibile e costante raffreddamento, sia infine un maggior rimescolamento, talora vorticoso, delle acque stesse. Plinio il Vecchio potrebbe riferirsi a questi fenomeni specifici quando afferma «Et ostrea gaudent dulcibus aquis et ubi plurimi influunt amnes», cioè: “le ostriche … prosperano nelle acque dolci e dove confluiscono molte correnti”. La fiorente attività di mitilicoltura attestata nel golfo di Taranto fin dall’epoca medievale renderebbe infatti plausibile l’ipotesi della pesca, se non proprio dell’allevamento, di cozze anche nelle precedenti età greca e romana.