Talvolta c’è da chiedersi se davvero questo territorio sia condannato a soffocare le sue risorse straordinarie per obbedire a logiche che possono considerarsi solo e soltanto industriali. Taranto e la sua provincia è ricca di risorse naturali, ancora poco sfruttate e talvolta persino sconosciute: eppure, è stata ed è oppressa da scelte che appaiono contrastarne la bellezza, o quantomeno ridurne al massimo la possibilità di uno sviluppo socio-economico più sostenibile, più a misura d’uomo, capace di elevarne la qualità della vita.
Oddio, al netto della fragilità politica e imprenditoriale (o incapacità, fate voi) locali, è indubbio che la volontà di insediare impianti da cazzotti in faccia o almeno poco digeribili lascia davvero perplessi. Inutile ricordare che il sopportare industrie pesanti da troppi decenni dovrebbe essere già motivo per cambiare direzione. E invece, pare proprio non sia così.
Evitando facile populismo, proviamo a fare il punto. Dissalatore sul fiume Tara, impianto fotovoltaico galleggiante in Mar Piccolo, impianto agrivoltaico nell’area Salina Grande a Taranto, nave rigassificatrice nel porto, allargamento della base navale in Mar Grande, impianti di produzione di idrogeno rinnovabile, voli suborbitali nell’aeroporto di Grottaglie, discariche da riaprire e qualcuna magari da allargare: ne abbiamo dimenticato qualcuno? Può darsi, ma è grosso modo la mappa di una spartizione produttiva del territorio futuribile che va ad aggiungersi a scelte precedenti spesso devastanti e che hanno condizionato e condizionano, come già detto, uno sviluppo differente.
Per carità, nessun pregiudizio sia chiaro. Però, c’è da chiedersi perchè depredare il mare, ad esempio. Prendiamo il Mar Piccolo: perchè mai parlare di impianti fotovoltaici galleggianti anzichè accelerare sulla sua bonifica? Il Mar Piccolo se finalmente fosse sotto tutela del mai veramente nato ‘ente parco’ sarebbe una risorsa socio-economica di grande spessore: oltre alla mitilicoltura da rinvigorire, potrebbe diventare mèta del turismo lento e sostenibile, di attività acquatiche ora poco sviluppate e altre iniziative imprenditoriali dal bassissimo impatto ambientale.
Dobbiamo continuare? Pensate alla nave rigassificatrice, in teoria al servizio di una futuribile industria dell’acciaio a gas o a idrogeno (mah…): le operazioni di carico e scarico del gas non sono semplicissime e soprattutto questa presenza significherebbe la condanna quasi definitiva del porto commerciale e, chissà, la riduzione dell’arrivo di navi da crociera. Forse per questo il futuro presidente dell’Autorità Portuale sarà (forse) un politico che di gestione dei traffici commerciali marittimi se ne intende molto poco o proprio nulla, diventando così un soldato che obbedisce solo agli ordini?
E quali ricadute occupazionali offrono scelte del genere? Siamo davvero certi che tutti i progetti pensati per Taranto potranno frenare l’esodo continuo dei giovani verso altre realtà e anche ridurre la grande precarietà del lavoro da queste parti? Permetteteci molti dubbi. Felici se il futuro ci smentirà.