La città capoluogo, chiamata alle urne a maggio per eleggere Sindaco e Consiglio comunale, ad un bivio: scegliere la strada giusta vista la pioggia di danari in arrivo oppure perdersi per l’ennesima volta nelle solite beghe di cortile
Taranto a maggio dovrà scegliersi il nuovo Sindaco e rinnovare il Consiglio comunale, conseguenza logica della caduta di Rinaldo Melucci e la sua maggioranza ibrida, alcune settimane fa. L’ennesima confusione politico-amministrativa che caratterizza ormai da anni questo martoriato lembo di terra. Perchè è indubbio che una città capoluogo tanto incerta allunga le distanze dai Comuni della provincia, anzichè restarne il punto di riferimento.
La prospettiva di elezioni in cui l’assenteismo avrà la maggioranza è un dato di fatto: è una tendenza nazionale, è una tendenza anche locale. E la grande confusione politica nella città bimare, aumenta la possibilità che i cittadini preferiscano disertare le urne e magari dedicarsi a gite fuori porta visto che si voterà a fine maggio per il primo turno.
Che dire? Lanciare appelli per sensibilizzare i cittadini elettori? Si può fare, ma restano i dubbi sulla percezione popolare che si tratti di una contesa, quella elettorale appunto, in cui tutti promettano cambiamenti per non… cambiare nulla. Insomma, al momento regna grande scetticismo: e come non comprenderlo?
Qui non la tiriamo per le lunghe: i candidati sanno perfettamente che il futuro di Taranto si scrive ora, perchè il momento è storico, cruciale e perderne la bussola significherebbe arretrare colpevolmente.
I problemi sono tanti, da decenni – azzardiamo ma non troppo – irrisolti. Eppure, i quasi due miliardi di euro in arrivo (differenziati nei vari piani varati dall’Europa ma anche in parte dal nostro Paese), non sono proprio pochi se l’obiettivo è svoltare. Il Comune di Taranto, sia chiaro, è protagonista di questa fase per quanto legato a dinamiche decisorie sovraistituzionali.
Prendete il Just Transition Fund. Come ha ricordato di recente la CGIL, si parla dello “sviluppo della filiera dell’idrogeno verde e delle energie green, la famosa transizione ecologica e industriale, la tutela delle risorse naturali, nonché le bonifiche, il sostegno alla diversificazione economica, la ricerca, la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori”, per cui “gli interventi sociali previsti nel Programma Nazionale del Just Transition Fund Italia 2021-2027, meritano di essere trattati urgentemente in un rapporto continuo con i corpi intermedi che siedono a tal proposito e di diritto nel Comitato di Sorveglianza”. Appunto, devono essere trattati con urgenza: qui vengono chiamati in causa il Dipartimento per le politiche di coesione e per il sud della Presidenza del Consiglio e all’autorità di gestione del PN JFT Italia. Ricorda ancora la CGIL come sia stato approvato il Piano Nazionale per “un investimento complessivo di quasi un miliardo di euro, di cui oltre 800 milioni destinati solo a Taranto, che per non tradire l’aggettivo di ‘giusta’ abbinato alla parola transizione merita di essere calato sul territorio e portato al vaglio di chi quelle esigenze le sviscera, le interpreta e le vive quotidianamente, mentre – lamenta il sindacato – abbiamo potuto esercitare il nostro ruolo solo una volta, nell’ambito di un incontro del Comitato di Sorveglianza che si è svolto in Sardegna a novembre dello scorso anno”.
Dunque, è comprensibile come la fragilità politica tarantina sia l’alibi per quanti quella torta milionaria (alla quale aggiungere tutto il resto degli interventi oltre il JFT) preferiscano gestirla con le proprie mani, anche perchè – e citiamo ancora la CGIL – va messo “in evidenza che il 70% delle risorse vanno spese entro il 2026, praticamente un tempo strettissimo” per evitare di “trovarci di fronte ad un inseguimento dei progetti come già successo per i Giochi del Mediterraneo del 2026”.
Ma le risorse del JFT non sono l’unico problema da affrontare. Taranto deve risolvere problemi interni. Pensate agli asili nido comunali da salvare (la Commissaria prefettizia pone dubbi sulla possibilità di non esternare, come invece chiesto dal Consiglio comunale dopo settimane di polemiche accese). E come non pensare ai lavoratori precari della Multiservizi? E ancora: la riqualificazione della Città vecchia, il degrado urbano, la raccolta rifiuti. E potremmo continuare ancora: troppe volte si parla dei problemi di Taranto, altrettante volte non si riescono a risolvere o quantomeno ridurne il numero.
In conclusione, quelli che affibbiano a Taranto la denominazione di ‘laboratorio politico’ (e cioè le coalizioni che cambiano come il vento quasi da banco di prova per la politica regionale e nazionale) forse mascherano senza volerlo una cruda realtà: il poco spessore politico finora dimostrato, quella pochezza cioè che permette ad altri di decidere per i tarantini sapendo d’avere terreno fertile. Qui imperano molte mezze figure, quasi tutte comparse. Perchè regia, sceneggiatura, scenografia e attori protagonisti giungono da oltre le Cheradi. O no?