Se politica e sport a Taranto sono sempre più sgangherati, qualche motivo ci dev’essere. E, soprattutto, una volta per tutte bisognerebbe riflettere su quella che appare una crisi più profonda: l’incapacità, o la volontà se volete, di saper ripartire. Alcuni, di certo più preparati di chi scrive, hanno sostenuto in passato e più volte come dalle crisi bisogna saper cogliere lo spunto per ricostruire: bene, ma qui accade? O meniam le colpe solo al tessuto socio-economico sofferente?
Partiamo dalla politica. Pur consapevoli di un modo di fare tutto italiano, e cioè un bel mix di demagogia cattura-consensi e capacità gattopardesche di riciclarsi, a Taranto chi s’impegna in politica magari ingenuamente (ma siamo sicuri?) si lascia coinvolgere nella schizofrenia del potere. Maggioranze che cambiano, assessori a go go, movimenti civici che nascono e poi scompaiono, amici e amici degli amici che gozzovigliano: insomma, un pot-pourri per tutti i gusti abilmente tenuto in piedi per conquistare un posto al sole e poi conservarlo con ogni mezzo. Il tutto attraverso megafoni utili alla propaganda e, soprattutto, capaci di annebbiare il cittadino.
Certo, detta in tal modo è semplice uso populistico: ma è così davvero oppure non ci si allontana poi di tanto dalla verità? Perché poi i risultati sono sotto gli occhi di tutti, tanto di quei cittadini che ci credono quanto di quelli che invece hanno da tempo alzato bandiera bianca (pensate, ad esempio, ai tanti che alle tornate elettorali non partecipano più). Quel che è preoccupante, però, è che se in passato – neanche troppo lontano – si lamentavano le poche risorse disponibili, oggi non è più così: quanto danaro pioverà da queste parti tra fondi europei e nazionali, per essere praticoni? Si parla di due miliardi di euro circa, e non sono pochi. E quanto è stata in grado la politica nostrana nel farsi trovare pronta? Non scendiamo nei dettagli, ma la sensazione è che proprio una ‘torta’ tanto grande faccia gola (e ci mancherebbe…) e che i grovigli politici locali abbiano agevolato le voglie altrui, e cioè di coloro i quali approfittando dell’incertezza nostrana sono pronti come squali a gettarsi nella mischia. Diciamo che a buon intenditor… ma anche qui non ci si sente poi così lontani dalla verità, specie se in una analisi complessiva anche sommaria fra gli attori vanno ricordate le complicità tutte nostrane: come storia insegna, del resto. E, aggiungiamo, per questo che da Roma e da Bari arrivano di tanto in tanto i diktat mascherando certe scelte perché Taranto è considerata “città strategica”. O no?
A poche settimane dal voto per rinnovare Sindaco e Consiglio comunale, il cittadino – anche quello meno interessato – si chiede: e adesso, che si fa? Con un pensiero diffuso: chiunque venga eletto, qui cambierà poco. E come non leggerne un minimo di verità? Bene, se la politica nostrana vuol tornare a scriversi con la “P” maiuscola, allora parli chiaro alla gente e soprattutto la convinca a respirare aria diversa, trasparente, leale. Che sappia risvegliare il senso di comunità purtroppo scomparso da anni. E’ una pia illusione? Può darsi, ma l’astensionismo elettorale può ingigantirsi rispetto al passato se i candidati ad amministrare Taranto non sapranno mostrare volti di verità.
E lo sport? In qualche modo s’intreccia nel modo di far politica. Ma con una premessa: il fallimento dei club maggiori non significa sia il fallimento dello sport in generale. Perché a Taranto ci sono tanti appassionati che ‘producono’ sport regolarmente, affrontando talvolta anche mille problemi (come la penuria di impianti sportivi di base): una comunità insomma viva, incapace di perdere energie, semmai capace di superare tanti ostacoli.
Quel che è accaduto al Taranto Calcio è un cazzotto in faccia non solo ai tifosi ma a tutta la città. Perché a prescindere dalla mancanza di risorse economiche, questa società ha esportato in tutta Italia la vergogna: la fuga dei calciatori, spedire in campo un manipolo di ragazzini, affidarsi a figure quantomeno discutibili, rilasciare dichiarazioni al limite della decenza, sono stati comportamenti squallidi culminati, come si sa, nell’esclusione dal campionato.
Ma il presidente Massimo Giove, attore e responsabile principale di tale ignominia, non è stato certo il solo in questa rappresentazione plastica dell’assoluta incapacità. Non vanno dimenticate figure giunte sin qui come “salvatori della Patria”. Pensate all’americano Mike Campbell presentato in pompa magna a Palazzo di città da un sindaco, Melucci, capace di sfidare con tono sprezzante l’autocontrollo dei tifosi e ricordate i selfie di assessori e consiglieri comunali. E pensate anche alla vicenda stadio “Iacovone”, che di certo ha contribuito ad affossare la società rossoblù.
Mancanza di danaro per il Taranto Calcio, stessa cosa per il Cus Jonico. Il glorioso club di basket ha alzato bandiera bianca e s’è ritirato dal campionato di serie B. Con una differenza sostanziale: lo ha ufficializzato con tanta dignità, senza nascondersi, consapevole di rappresentare un pianeta, quello cestistico, che ha in ogni caso basi solide e non andava, diciamo così, tradito da falsi proclami.
Inutile parlare della retrocessione della Prisma Taranto. Il club ha perso sul campo il suo posto nella Superlega di volley maschile: qui, al limite, si può parlare di scelte tecniche rivelatesi poi sbagliate.
In comune, però, questi che consideriamo sport d’élite hanno fattori che non andrebbero dimenticati. Se è vero che lo sport in generale a Taranto possiede buone fondamenta, è altrettanto vero che si fa poco per consolidare quelli d’élite. Perché, diciamolo subito, anche in questo caso si può ben parlare di comunità assente e di scelte di base che non esistono.
Sostenere le società più rappresentative dovrebbe essere la normalità: tanto per la politica quanto per l’imprenditoria. Serve non solo a irrobustirne le casse ma anche a tener d’occhio quel che succede e, magari, intervenire all’occorrenza. Annoverare club tarantini ai massimi livelli è una operazione di marketing territoriale che non ha eguali. Basti pensare anche a ciò che accade in questi giorni: nonostante l’esclusione, del calcio rossoblu se ne parla a livello nazionale proprio perché quasi un secolo di storia – molto più che dignitosa – non può essere cancellato dalla imbarazzante e fallimentare gestione di questa società. Il Taranto non è l’ultimo club d’Italia, e la sua penosa fine in qualche modo ha provocato reazioni dappertutto. E tanta solidarietà persino dalle tifoserie avversarie.
Diffondere e agevolare lo sport sin dalle basi, vuol dire costruire i cittadini del domani. Una politica sportiva che non si limiti alle mancette, è fondamentale per somministrare benessere anche laddove regnano disagio e fragilità. Non basta organizzare e comprare grandi eventi (semmai se ne è capaci, visto quel che è accaduto per i Giochi del Mediterraneo…) per affermare quanto Taranto sia città di sport. Progettare e mettere in piedi impianti sportivi nuovi e soprattutto renderli disponibili, passateci il termine, in modo popolare, vuol dire allargare la platea di atleti, piccoli o grandi che siano. Ma innanzitutto investire nelle giovani generazioni è il compito che tutti, dalla politica agli sport d’élite, dovrebbero assolvere: su questo andrebbe aperto un ulteriore capitolo, però è facile intuire di che si parla.
Morale. Ritrovare il senso di comunità e quindi impegnarsi e scommettere su Taranto. C’è una città che può farlo, ci sono persone assolutamente degne e in grado di offrire una svolta. Tanto nella politica quanto nello sport. E’ quella parte sana di città che ieri e oggi magari è stata volutamente in disparte oppure relegata nelle retrovie dalle solite lobby che imperano qui da decenni. Ci sono esempi di persone illuminate che in qualche modo non si sono arrese e non si arrendono. Del resto, se un qualche fermento a Taranto c’è ancora, lo si deve proprio a quei cittadini che sanno come amare veramente la città. E non hanno mai smesso di farlo.