Negli ultimi giorni, Acquedotto Pugliese ha cercato di raccontare il progetto del dissalatore del Tara come un’opera indispensabile per l’autonomia idrica della Puglia, pubblicando comunicati dai toni sempre più autoreferenziali. Siamo passati da frasi come «Il fiume Tara non scomparirà, ce ne prenderemo cura tutti», a «Il Tara non sarà depredato», fino a dichiarazioni sempre più enfatiche come «un progetto strategico per l’autonomia idrica della regione».
Ma quando le associazioni e i cittadini hanno messo in luce le evidenti criticità tecniche, ambientali e sociali del progetto – smontando la retorica della sostenibilità con analisi e dati scientifici – il tono è cambiato. AQP, dinanzi alle opposizioni sempre più forti, ha chiuso il cerchio con un ultimatum: «Il dissalatore s’ha da fare».
Questa non è più una discussione democratica, ma un’imposizione. Una scelta che ignora le richieste di trasparenza e i numerosi dubbi tecnici sollevati. Quando si rinuncia al confronto e si risponde con arroganza, il dialogo lascia spazio a una “democratura”, dove le decisioni calano dall’alto senza considerare il territorio e le sue comunità.
La domanda è: davvero possiamo accettare che un’opera dal dubbio impatto ambientale, sociale ed economico venga portata avanti con questo atteggiamento? Le comunità non chiedono altro che rispetto per il loro territorio e decisioni basate su un’autentica sostenibilità.