Ci chiediamo di quante drammatiche conferme il Governo ha ancora bisogno, prima di concludere che occorre un approccio innovativo ed ecosostenibile per una città come Taranto che non riesce ad intravedere la luce, intrappolata nel tunnel di quel maledetto profitto che si ottiene a scapito della vita umana? A che punto si dovrà arrivare per comprendere che la produzione a carbone è una condanna a morte gratuita per chi risiede, paradossalmente, in una delle più belle città italiane?
Sono domande retoriche che nascono alla luce degli ultimi provvedimenti giudiziari sullo stabilimento siderurgico, che arrivano ad appena qualche ora di distanza dalla riaccensione dell’AFO1 da parte del Ministro Urso. Infatti, la notizia del nuovo decreto di sequestro degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva, emesso dal Gip di Potenza, Ida Iura, non ci sorprende sotto il profilo tecnico e nel merito, ma ci vede solidali con la durissima espressione utilizzata per accompagnare il provvedimento: “E’ evidente che l’utilizzo “criminale” dello stabilimento a fini di profitto in spregio persino agli accordi presi per ridurre l’impatto mortale delle lavorazioni non può che essere arrestato sottraendo la disponibilità delle aree in cui avvengono le lavorazioni che hanno determinato la compromissione dell’ambiente, della salute e della popolazione residente”. La misura eseguita dal tribunale potentino ripropone la gravità di un quadro allarmante dal punto di vista ambientale, destinato ad aggravarsi ulteriormente a causa della latenza delle esposizioni. Com’è noto, i numerosi decreti hanno concesso la facoltà d’uso (mai concessa dalla magistratura) e la produzione potrà proseguire. Anche stavolta. Ancora una volta a danno dei Cittadini.