I rimproveri di Crosetto e Piantedosi non sono bastati, così come non è bastato scandalizzarsi per 5 minuti dopo i fatti di Locorotondo che ecco a voi una nuova aggressione ai danni dei Carabinieri.
Due episodi di violenza in pochi giorni, entrambi in Puglia. Prima Locorotondo, poi Rutigliano. Vittime 3 militari dell’Arma dei Carabinieri.
Il primo aggredito a Locorotondo lo scorso 22 agosto mentre cercava di sedare una lite. Preso a calci e pugni, l’aggressione è stata filmata diventando virale sui social.
Il secondo nella mattinata del 27 agosto a Rutigliano. Due militari su intervento sono stati colpiti a sprangate e con una scala pesante, dovendo ricorrere alle cure del pronto soccorso.
Parliamo dei Carabinieri, forze dell’ordine, coloro che sono deputati a garantire la nostra sicurezza.
Ma quale sicurezza se loro per primi non sono al sicuro quando sono per strada?
E di chi è la colpa? Il problema ha radici lontane, anche se non troppo, ma soprattutto ideologiche.
Nell’ultimo decennio, oltre ad un taglio scellerato in materia di capitale umano, mezzi e dotazioni, abbiamo assistito ad una vera e propria campagna politica di delegittimazione delle forze dell’ordine.
I paladini del “nessuno tocchi Caino”, hanno reso l’intervento di polizia un fatto violento, ingenerando nell’opinione pubblica un “abusato concetto di abuso” che ha alimentato un’avversione nei confronti delle istituzioni dello Stato senza precedenti, se non quelli degli anni di piombo.
Una situazione surreale che oggi si ripercuote su uomini e donne in uniforme.
Come si difendono le forze dell’ordine? Occupandomi giornalisticamente di ordine e sicurezza pubblica, oltre che di materia sindacale di polizia e militare, spesso mi viene chiesto perché un operatore di polizia non si difende quando viene aggredito.
Potrei rispondere citando diversi processi penali che hanno visto alla sbarra poliziotti e carabinieri “rei” di aver difeso la propria vita o quella dei propri colleghi. Processi che hanno determinato il blocco della loro carriera, una sospensione dal servizio, gogna mediatica e spese peritali e processuali gravate sulle loro tasche nelle quali entrano non più di 1500 euro mensili.
Processi che nella maggior parte dei casi si sono conclusi con un’assoluzione perché riconosciuto l’uso legittimo delle armi, ma che nel mentre hanno comportato un danno economico e professionale che ha inciso inevitabilmente anche sul benessere psicofisico. E a tutto questo non ha mai fatto seguito una presa di posizione netta di chi legifera, relativamente a regole di ingaggio e protocolli operativi ad oggi obsoleti, inadeguati e ambigui. Si veda ad esempio l’uso del taser, introdotto come strumento di non violenza atto a ridurre il contatto fisico tra operatore e soggetto fermato, ma che vede indagato il poliziotto o carabiniere nel caso in cui i dardi si rivelano letali.
O, ancora, commissariati e stazioni dimenticati da Dio, con personale ridotto all’osso e nessun piano di potenziamento.
Mezzi obsoleti, auto non blindate in dotazione alle stazioni dei Carabinieri, commissariati che faticano a fare uscire anche una sola volante e mistificatori dietro l’angolo pronti alla “caccia allo sbirro”.
Sulla scorta di tutto ciò, oggi a portata di click, è diventato davvero difficile fare l’operatore di polizia.
Basta uno smartphone che riprenda una parte dell’intervento (perché il prima di certe immagini non vi sarà mai mostrato), un’accusa strumentale e il danno è fatto!
A questo poi aggiungiamoci il coro di indignazione di certa politica che si scandalizza solo quando il taser miete una vittima o quando uno studente violento con un graffietto sul labbro grida all’abuso, dopo aver devastato mezzi blindati e città. Una indignazione che però non esiste quando un lavoratore in uniforme viene massacrato e messo alla berlina sui social e quando i suoi aggressori vengono denunciati a piede libero o subito rilasciati.
Perché c’è una madre di queste condotte violente nei confronti delle forze dell’ordine e si chiama impunità.
Abbiamo un impianto normativo lacunoso da un punto di vista della certezza della pena e questo i delinquenti lo sanno bene.
Sanno benissimo che usare violenza contro un rappresentante dello Stato non gli costerà nemmeno un giorno di carcere.
E nei casi più gravi, quando un uomo dello Stato viene ucciso, se l’avvocato è bravo ti becchi anche uno sconto di pena!
Cosa pretendiamo dunque? E soprattutto, cosa pensiamo di trasmettere alle nuove generazioni?
Queste già sono avanti… lo vediamo nei testi delle “canzoni” di alcuni rapper o trapper emergenti quello che pensano delle forze dell’ordine. Lo avete dimenticato quello che cantava “sbirri a testa in giù?” mostrando nel suo video un poliziotto impiccato?
O i “poliziotti maiali” di Frah Quintale? È ancora, potrei citarne tanti altri.
I social sono stracolmi di video in cui si inneggia alla violenza contro le forze dell’ordine. Video che riprendono posto di controllo e in cui si sbeffeggiano e deridono gli operatori.
Non esiste più il rispetto nei confronti delle divise.
Siamo davanti a una silente eversione alimentata da chi con politiche scellerate ha smantellato il comparto sicurezza e difesa, introducendo norme che legano le mani alle forze dell’ordine come il reato di tortura o che vorrebbero introdurre gli identificativi, marchiando poliziotti e carabinieri come bestiame pronto da vendere al miglior offerente alla fiera della gogna mediatica e dei processi strumentali contro le forze dell’ordine.
Sono anni che assistiamo sempre allo stesso teatrino. La politica si è espressa perché i fatti di Locorotondo hanno avuto ampia eco mediatica. Ma nella sostanza non cambia nulla e l’aggressione di oggi a Rutigliano, lo dimostra. Sono uomini dello Stato, dimenticati dallo Stato, soprattutto in periferia. E’ solo questione di tempo ed assisteremo all’ennesima aggressione. Purtroppo.