Siamo in pochi, giornalisti, a parlare di Polizia e soprattutto a sapere di cosa stiamo parlando, perché non basta essere amici di uomini e donne in divisa, ma occorre comprenderne dinamiche, storie, disagi.
Nella città di Taranto e nella sua provincia, dove risiedono i commissariati, spesso si sente parlare di “malapolizia”.
“Arrivano tardi”, oppure “non arrivano” o, ancora, “non fanno nulla”. Il problema, cari lettori, non è la “malapolizia”, ma i mali della Polizia e come per tutti i mali, la causa è sempre a monte.
Ultimamente, sono state tantissime le circolari ministeriali diffuse in ogni questura, compresa quella tarantina, che hanno non poco amareggiato il personale. E quando parliamo di personale, va inteso quello che sta per strada, che si reca sui luoghi di intervento, su segnalazione dei colleghi della sala operativa.
Ai poliziotti viene tagliato lo straordinario, le proposte premiali stanno diventando un miraggio e l’organico è sempre all’osso. Nel prossimo mese di giugno, infatti, Taranto si vedrà assegnare solo 10 nuove unità, delle quali 3 di nuova nomina (agenti appena usciti dalle scuole) e uno assegnato alla Polizia Postale.
Polizia ferroviaria, stradale e reparto mobile, restano nel totale oblio. Si tratta di specialità della Polizia di Stato che da tempo a Taranto non vedono incrementi, con la conseguenza che la sicurezza viene compromessa.
La Polizia stradale, ad esempio, decimata anche dai pensionamenti, non riesce a garantire le attività operative sul territorio.
Da un anno la Polfer non effettua più la vigilanza notturna in stazione che è diventata zona franca e luogo di degrado in cui bivacca e delinque chiunque. Per non parlare del Reparto Mobile, reso immobile, da scelte scellerate e mancata considerazione nei confronti di Taranto da parte del Dipartimento di Pubblica Sicurezza. Eppure qui a Taranto abbiamo l’Hotspot e una grave emergenza socio economica legata alla vertenza ex Ilva, per non parlare della criminalità nostrana che è diversa per conformazione, “estro” criminale e organizzazione, ancora legata ai poteri delle “famiglie” e che recluta nuove leve scavando proprio nel disagio e nel contesto sociale reso fragile da tutte le vicissitudini che interessano la città, soprattutto dal punto di vista lavorativo.
Spiace davvero tanto che una questura come quella di Taranto, magistralmente guidata dal Questore Gambino che ha saputo renderla porto sicuro per i cittadini, garantendo presidi di sicurezza ovunque, venga così bistrattata da chi invece dovrebbe garantire maggiori risorse a una città in cui la sicurezza è una materia non secondaria.
Taranto è una città in cui c’è tanto da fare e che ha alte pretese per quanto riguarda la sicurezza. Ma non si può pretendere che una macchina macini chilometri senza carburarla.
Molto spesso capita che per garantire servizi di ordine pubblico e, dunque, dimostrare la presenza della polizia sul territorio, esca una volante in meno. Allora ci chiediamo: cosa è più importante? Garantire un servizio di controllo del territorio e repressione dei reati, oppure far vedere che la Polizia è presente allo stadio? Magari prendendosi in faccia anche i cori ingiuriosi di daspati che si aggirano nei dintorni.
E ancora, a Taranto non esiste una mensa e i buoni pasto vengono erogati con le braccia corte, quando in ogni altra questura d’Italia c’è il servizio mensa e, per i commissariati più lontani, la garanzia del buono pasto. Sapete cosa spetta ai poliziotti tarantini che hanno diritto al pasto? Un sacchetto merenda!
Quest’ultima problematica, legata più che altro ai servizi di ordine pubblico, pare stia trovando una soluzione grazie all’adozione di alcuni criteri più flessibili, come assicurato dal Questore di Taranto, Massimo Gambino, che, come spiegano i sindacati, ha rimosso le difficoltà iniziali e ha annunciato una maggiore elasticità nella concessione del titolo sostitutivo per il pasto.
E se su questo aspetto si sta cercando di migliorare, lo stesso non si può dire per le indennità accessorie. Un’altra recente circolare ministeriale, invita gli uffici al risparmio sul monte ore straordinario.
Questo ha portato dirigenti e funzionari a diventare veri e propri ragionieri impiegati nella decurtazione delle ore di straordinario, a scapito di chi? Di chi sta in mezzo alla strada, ovvio.
E ora riflettiamo: cosa prova chi sta per strada? Forse non tutti lo sanno, che i poliziotti delle volanti sono turnisti. Sera, pomeriggio, mattina e notte, smontante, riposo e poi si ricomincia. Un circolo vizioso che inevitabilmente si traduce nella cosiddetta sindrome del turnista, con alterazioni del ritmo sonno veglia, alterazioni dell’appetito, nervosismo cronico. Insomma, una situazione che non tutti vivono allo stesso modo e alla quale più o meno ci si abitua con tutte le conseguenze del caso.
Se a queste poi aggiungiamo gli straordinari non pagati, il verticismo di taluni, le beghe sindacali (bè esistono anche quelle), una sconsiderata disattenzione nei confronti di quei poliziotti che effettuano interventi delicati e particolari, negando loro una proposta premiale, la strada per il Burnout è bella che spianata.
È ovvio che se non c’è gratificazione, le performance si riducono notevolmente e a farne le spese è la sicurezza. La ragioneria di Stato e la speranza intima di alimentare la propria carriera anteponendo i conti al benessere del personale, non è il modo giusto di affrontare il problema.
Purtroppo, tutto quello che abbiamo raccontato fino ad ora, non sta avvenendo solo a Taranto, ma in tute le questure a causa di decisioni che arrivano dall’alto.
Le recenti circolari su straordinari, ricompense premiali, stanno incrinando il rapporto tra personale di polizia e amministrazione di appartenenza e non mi sorprende che qualcuno tra i sindacati più rappresentativi, stia paventando una vertenza senza precedenti storici.
Il vero problema è che in alto, nei palazzi romani, la memoria è un po’ corta. La legge Madia in ordine di spending review attuò già di per sé dei tagli scellerati all’apparato della sicurezza che oggi, a distanza di anni, non siamo ancora riusciti a sanare. Applicare ancora una volta questo protocollo, internamente, sicuramente non è una scelta giusta.
E in ultimo, un altro affaraccio: i vincitori di concorso per vice ispettore che hanno perso la sede e si sono visti aumentare il tempo in quella di permanenza, raddoppiato sia in sede ordinaria che disagiata o, ancora gli aggregati art. 7 relegati in uffici non appropriati al loro tipo di problematica o addirittura, messi in volante. Le cose di cui parlare sarebbero tantissime che sintetizzarle in poche righe è un po’ come sminuirle.
A malincuore, in conclusione, devo fare un’ammissione obbligatoria. Vittorio Pisani è stato un grande poliziotto e da tale gode di tutta la mia ammirazione. Obiettivamente, però, bisogna saper ammettere che essere stato un grande poliziotto non significa saper essere un grande Capo.