Taranto ha l’onore di vantare un eroe senza tempo. Un degno servitore dello Stato che ha sacrificato la sua vita per il dovere: il Capitano Emanuele Basile.
La storia di Emanuele Basile è sempre attuale, per questo non va dimenticato. Valido e fedele collaboratore del giudice Paolo Borsellino, condusse indagini eccellenti. Si insinuò prepotente in quelli che erano i covi mafiosi, i loro sporchi affari. Cercò con senso di legalità e immensa abnegazione, di ripristinare il giusto in una terra difficile manovrata dalle ombre di Cosa Nostra.
Il Capitano Basile ha pagato con la vita i suoi ideali di legalità e giustizia.
Emanuele Basile nasce a Taranto il 2 luglio del 1949, lì frequenta le scuole e il Liceo Scientifico “Battaglini”. Dopo studi accademici militari presso l’Accademia di Modena, promosso Capitano, fu trasferito in Sicilia, dove entra a far parte del nucleo investigativo. Lì condusse indagini sulla cosca mafiosa di Altomonte, impegnata nel traffico internazionale di droga, riciclaggio di denaro e sporco, e fautrice di 17 omicidi in soli due anni. Per questa stessa indagine fu ucciso il capo della squadra mobile palermitana Boris Giuliano. Anche su quest’omicidio vi fu il massimo impegno del Capitano Basile, che arrivò ad individuarne mandanti ed esecutori. Prima di lasciare Monreale, il Capitano Basile si premurò di consegnare tutte le informazioni di cui era venuto a conoscenza, al giudice Paolo Borsellino.
Per Borsellino, Basile, era un fedele collaboratore.
La sera del 3 maggio 1980, mentre rientrava in caserma dopo aver partecipato al ricevimento presso il comune di Monreale, al termine dei solenni festeggiamenti in onore del Santo Patrono, mentre reggeva in braccio la sua bimba di soli 4 anni e con accanto la moglie, un sicario esplose alcuni colpi di pistola.
Basile fu trasportato subito in ospedale, dove giunse immediatamente anche il Giudice Borsellino, e sottoposto a delicatissimo intervento chirurgico, purtroppo però, ogni tentativo fu vano. Basile morirà il 4 maggio.
Il delitto sarebbe fruttato al suo esecutore, la nomina a “capo decina”. Ad ucciderlo furono Armando Bonanno, Giuseppe Madonia, Vincenzo Puccio. Bonanno scomparve con il cosiddetto metodo della “lupara bianca”, e Puccio fu ucciso nel 1989. I quattro esecutori e i mandanti, boss di Cosa Nostra, furono condannati all’ergastolo, assolti in primo grado per insufficienza di prove. Un processo travagliato durato 12 anni. La pena fu confermata in appello, dove il processo ritornò per tre volte, come stabilito dalla Cassazione. Infine, dopo 12 lunghi anni, la Cassazione confermò l’ergastolo, e il magistrato che emanò la sentenza, Antonino
Saetta fu ucciso insieme al figlio Stefano, con colpi di arma da fuoco, nella propria auto. Quella stessa mafia nel 1983 uccise il Capitano
Mario D’Aleo, 29 anni, sostituto di Basile, insieme ai colleghi Giuseppe Bommarito e Piero Morici.
Emanuele Basile è un’icona del nostro tempo. Un eroe vero, un esempio. E’ morto perché credeva nel giusto, nel rispetto delle regole, nella giustizia. E’ morto in virtù di grandi valori che dovrebbero caratterizzare la vita di ognuno.
«Il Capitano Basile è morto – come disse Paolo Borsellino – per quello che ha fatto e per quello che ancora avrebbe potuto fare».