Decidesse serenamente, il centrodestra, se le norme sullo “scudo penale” siano un’indigesta eredità del passato o un esercizio di assoluto garantismo. Lo facesse per il bene della chiarezza che tutti si aspettano, da chi governa.
Perché quella norma ha mostrato tutti i suoi limiti in questi lunghi anni di difficile interlocuzione politica sull’ex Ilva, tanto da esser cassata dagli esecutivi successivi. Se oggi qualcuno la reintroduce, fa un torto al dibattito di questi anni dolorosi, sulla pelle di una comunità che non ha più voglia di passi indietro e di eterne ripartenze.
Lo “scudo penale” non tutela la nostra terra, tutela solo un interesse particolare. È il salvacondotto offerto su un piatto d’argento alla proprietà, oggi ancora in maggioranza nelle mani di un soggetto che non ha certo mostrato vicinanza alle ferite del sistema socio-economico tarantino.
Al centrodestra, evidentemente troppo distratto dalle promesse fatte al sistema industriale che vive grazie all’acciaio di Taranto, sfugge un dettaglio: senza alcuno “scudo penale” abbiamo assistito ad anni di assoluto “far west” produttivo, reintroducendo questa norma ci aspettiamo che questa prospettiva possa forse migliorare?
Non accadrà, e ancora una volta sarà la città a pagarne le conseguenze. Ai parlamentari ionici di centrodestra, quindi, agli stessi che oggi cercano giustificazioni fantasiose a questo “capolavoro”, diciamo che hanno perso l’ennesima occasione per entrare in sintonia con la loro terra, svendendo sul piatto della produzione a tutti i costi la possibilità che Taranto imboccasse finalmente e definitivamente la strada della diversificazione.
Noi, invece, quella sintonia continueremo a praticarla, lavorando affinché del futuro del siderurgico si parli solo attraverso un accordo di programma che tenga insieme la prospettiva della decarbonizzazione con le esigenze della popolazione, prevedendo finalmente la valutazione preventiva del danno sanitario.