Sul tema potrei inaugurare una rubrica dal titolo “Ce me ne futt a me”. Non so se l’ho scritto “correttamente”, non me ne vogliano gli autoctoni, ma credo che il senso sia comprensibile.
Ieri pomeriggio a Taranto, mentre il Milan giocava la sua partita, in piazza Garbaldi sono giunti bambini di ogni età che con il sorriso della loro innocenza e il coraggio già maturo di chi ha compreso il motivo di un banco di scuola vuoto, hanno chiesto di non essere considerati un popolo usa e getta.
Ieri, i figli di Taranto, per l’ennesima volta, hanno rivendicato il loro diritto alla salute, hanno detto “noi ci siamo, esistiamo, vogliamo continuare ad esistere. Vogliamo vivere”.
Quei bambini di Taranto che invece non ce l’hanno fatta, erano impressi su una t-shirt indossata dai propri genitori. Stampe e nomi che ho fatto fatica a guardare e ho ringraziato i miei occhiali da sole che hanno coperto gli occhi gonfi per le lacrime, perché mentre io ricamo e scrivo ovunque il nome della bambina che porto in grembo, provo un immenso dolore nel vedere nomi di altri figli stampati su una maglietta a ricordare che non ci sono più. E sappiamo tutti di chi è la colpa. Qui conosciamo i nomi e i colpevoli, ma il muro di gomma persiste.
Ieri ero in piazza Garibaldi con mio padre, alla manifestazione organizzata dal Comitato cittadino per la salute e l’ambiente. Ho salutato qualche vecchio amico che non vedevo da anni e sono rimasta in disparte ad aspettare. Aspettavo che la piazza si riempisse. Ho aspettato invano.
In piazza c’erano gli organizzatori, i bambini, chi crede nella Taranto che deve riprendersi la sua dignità. La gente in piazza c’era ma era poca. Poca in confronto all’impegno degli organizzatori e al forte messaggio che hanno voluto mandare. Un messaggio non politico, senza bandiere e che quindi non avrebbe leso nessuno. Perché quando a Taranto parliamo di ambiente e diritto alla salute, non ci sono colori di bandiere, non ci sono idee politiche, ci sono solo ideali giusti che andrebbero condivisi da tutti a prescindere.
Le istituzioni erano assenti. Unico tricolore che ho visto è stato il sindaco di Grottaglie Ciro D’Alò con la sua giunta. Se mi è sfuggito qualcuno chiedo scusa, ma non ho visto altri.
Ho apprezzato personalmente l’invito di Massimo Castellana a noi giornalisti di evitare interviste ai candidati sindaci presenti in piazza. Lo avrei fatto a prescindere perché io lì ieri ero per ascoltare, per fare mie ancora una volta queste battaglie ignorate. Ignorate anche dalla maggior parte di chi oggi si proclama salvatore per Taranto in vista delle prossime amministrative e poi è fiancheggiato da quei partiti che hanno votato per sottrarre 150milioni di euro alla bonifica per destinarli alla produzione. Coloro che hanno utilizzato i fondi destinati a salvarci per ammazzarci ancora una volta.
Ma dopo questa breve parentesi, non intendo buttarla in politica, di questo parlerò in separata sede. Torniamo sulle presenza. La gente in piazza c’era ma era poca. Gli altri erano poco più avanti, seduti all’esterno dei bar, a esultare per i goal del Milan. Mi sono vergognata.
E mi sono vergognata ancora di più quando ho visto la foto di una piazza Ebalia gremita di tifosi che festeggiavano lo scudetto. Tutta quella gente ieri poteva riempire piazza Garibaldi e far sentire forte la propria voce per dire basta a questo schifo che ci portiamo dietro da anni; basta alle vessazioni di un territorio usato per generare profitto a scapito della vita dei tarantini. Basta bambini che soffrono nei reparti oncologici e o che restano orfani perché un cancro dilania i propri genitori.
Ma niente. Lo scudetto è più importante. Più importante del futuro dei loro stessi figli.