Hanno rischiato di cadere dal decimo piano, catapultati all’improvviso su un intervento delicato, mentre un attimo prima erano in strada per i consueti servizi antidroga.
Gionatan Scasciamacchia, Nunzio Giorgio e Gianluca Midulla erano consapevoli dell’enorme rischio cui erano esposti, ma non hanno esitato un solo istante a salvare una giovane donna che minacciava di farla finita, con le gambe a penzoloni sul parapetto di un palazzo di 10 piani.
I fatti sono avvenuti il 20 aprile scorso a Taranto intorno all’ora di pranzo. Un turno come tanti in abiti civili per i tre falchi della squadra mobile della Questura di Taranto e poi, improvvisamente, la segnalazione dalla sala operativa.
Gambe a penzoloni dal decimo piano
In via Solito una donna minacciava il suicidio. Era seduta con le gambe a penzoloni sul muretto del terrazzo della palazzina. Sotto di lei il vuoto, la fine.
Forse la fine dei suoi incubi interiori, della tanta sofferenza che l’ha portata a pensare a un gesto tanto estremo. I tre poliziotti che si trovavano nelle vicinanze, si sono immediatamente precipitati sul posto.
Gianluca e Nunzio hanno raggiunto il terrazzo arrampicandosi a dei ponteggi posti all’esterno dell’edificio, mentre Gionatan è salito dall’interno.
La donna si è trovata così al centro tra Gianluca e Nunzio da un lato e Gionatan dall’altro. Era in forte stato di agitazione, ha chiesto ai poliziotti di dire alle sue figlie che le amava e ha più volte minacciato di lanciarsi: «la mia vita è finita» ha detto.
La priorità: salvarle la vita
La vita di quella giovane donna però, così sconvolta, è diventata la missione di quei tre poliziotti. I tre le hanno parlato, provando a convincerla che tutto si sarebbe risolto. Nel frattempo sono arrivate in ausilio diverse volanti e la donna alla vista degli agenti in divisa, ha iniziato ad agitarsi.
Gionatan allora ha chiesto ai colleghi in divisa di allontanarsi, per tranquillizzare la donna. Questa però iniziava a dare segni di cedimento e il timore che potesse precipitare diventava sempre più reale. Tra l’altro, al di sotto, era presente una sorta di balaustra che non avrebbe permesso neanche ai vigili del fuoco di posizionare il cuscino di salvataggio.
Il tempo iniziava a stringere e la donna poteva svenire da un momento all’altro. I tre falchi si guardano e capiscono: bisogna agire.
Il «salvataggio della bottiglietta d’acqua»
«Vuoi dell’acqua?» chiede Gionatan alla donna che annuisce. Il poliziotto allora le si avvicina per porgerle la bottiglietta, ma quei passi iniziano nuovamente a innervosirla, la donna quindi chiede di arretrare altrimenti sarà costretta a lanciarsi. Gionatan fa come le dice e chiede alla donna se può almeno lanciare la bottiglietta ai suoi colleghi che si trovano dalla parte opposta. Lei fa cenno di sì.
È fatta. Il piano è in atto. Gionatan lancia la bottiglietta, il gesto distrae la donna che immediatamente viene afferrata da Nunzio e Gianluca.
Non è ancora al sicuro. Lei si dimena, il muretto è alto solo 59 centimetri e la tragedia è più vicina che mai: possono precipitare tutti. I poliziotti non si perdono d’animo e coraggiosamente si fanno forza, tirando la donna indietro e portandola all’ingresso del terrazzo, dove la immobilizzano in attesa di affidarla alle cure dei sanitari.
È salva. Sono salvi tutti
Potrebbe finire così questa storia, ma non è giusto. Hanno fatto il loro dovere, dirà qualcuno, magari con il solito disprezzo di chi pretende che tutto sia dovuto.
Sicuramente hanno fatto il loro dovere, ma è giusto parlare di questi eroi, dire chi sono, cosa fanno, raccontare ciò che hanno provato in quei momenti interminabili.
Chi sono Gionatan, Nunzio e Gianluca
Gionatan Scasciamacchia è il più alto in grado, un ispettore, coordinatore dei Falchi della Squadra Mobile della Questura di Taranto da un anno. Ha 40 anni, di cui 19 in divisa.
Nunzio Giorgio è un assistente capo, 22 anni di servizio di cui 4 nei falchi.
Gianluca Midulla è un assistente capo, 18 anni di servizio di cui 4 nei falchi.
Hanno rischiato di cadere nel vuoto. Cosa hanno pensato quando il pericolo si è palesato?
«Vi erano due rischi concreti. Il primo: la donna più volte guardava in basso e si scorgeva per prendere coraggio. Per altre sue volte si è messa sul parapetto in piedi e chiedendo perdono si affacciava pericolosamente. Il rischio aumentava quando la donna iniziava a barcollare. Era da circa un’ora sul parapetto e faceva caldo. A un certo punto abbiamo deciso che se avessimo preso altro tempo ci sarebbe stata una tragedia. Quando iniziava a mostrare segni di svenimento noi alzavamo la voce e battevamo le mani per farla riprendere e nel frattempo ci avvicinavamo. E ci siamo studiati una strategia. Avvicinarci il più possibile per afferrarla. Noi lo definiremmo il salvataggio della bottiglietta d’acqua, attraverso cui riuscivamo ad afferrarla in un momento di distrazione e a farla cadere indietro, lato parapetto interno».
Lo rifareste?
Le fasi dell’intervento sono un mix tra intuito, coraggio e capacità operativa e un po’ di affronto audace del pericolo. Ogni caso operativo di questo genere non viene studiato nei corsi di aggiornamento o di addestramento, poiché sono notevoli i fattori esterni che si intersecano durante l’intervento. Di certo, la cosa che ci ha caratterizzato in questo intervento è stato l’egregio ed indispensabile lavoro di squadra. Pur non “essendo” preparati all’intervento (siamo falchi che qualche minuto prima si stavano occupando di antidroga) siamo riusciti ad organizzarci in pochissimo tempo attraverso gesti e movimenti sincronizzati. Il primo obiettivo, quello principale era salvare la donna, costi quel che costi».