La recente Valutazione del Danno Sanitario (VDS), correlata alla produzione di 6 milioni di t/a di acciaio, indica un rischio cancerogeno non accettabile per i residenti del quartiere Tamburi. L’esposizione ai PM10 e PM2,5 di origine industriale impone l’attuazione di interventi finalizzati ad abbattere drasticamente questi inquinanti. Tali interventi non sono legati al contenimento dei valori delle emissioni entro i limiti di legge o i valori soglia di riferimento indicati dall’OMS.
Recenti studi, citati anche dal Ministero della Sanità, indicano che ogni aumento di 10 microgrammi/mc del PM2,5 risulta associato ad un incremento della mortalità per tumore del polmone del 14% mentre per i PM10 lo stesso incremento è associato ad un aumento della mortalità per tumore polmonare pari al 22%.
Occorre, infatti, ricordare che le soglie critiche di PM10 e PM2,5 previste dalla legge riguardano i parametri della qualità dell’aria il cui rispetto non garantisce affatto la tutela della salute pubblica.
A sottolinearlo è la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che, pur raccomandando valori soglia ben più bassi rispetto a quelli fissati dalle legge italiana (ed europea), spiega che è comunque necessario mantenere concentrazioni di tali inquinanti al livello più basso possibile.
Non esiste, infatti, per il particolato fine, un valore al di sotto del quale si possono escludere effetti sulla salute.
La stessa VDS considera come parametri di riferimento i limiti di accettabilità del rischio tossicologico ed epidemiologico in relazione alle caratteristiche del particolato che è di per sé una “miscela complessa” di varie sostanze con diverso grado di cancerogenicità.
Inoltre la VDS individua un valore soglia al di sotto del quale il rischio sarebbe accettabile. Per una riduzione dell’esposizione alle polveri del 48% il rischio diventerebbe accettabile, per una concentrazione media annuale di PM2,5 pari a 0,4 microgrammi/mc. Nel caso del PM10, riducendo l’esposizione del 64%, il valore soglia è di 0,59 microgrammi/mc mentre per una riduzione del 42% (secondo uno studio di coorte) la soglia è pari a 0,93 microgrammi/mc.
‘L’approccio epidemiologico– si legge nello studio- stima di fatto un rischio cumulativo: è questo il riferimento tossicologico con cui ci si confronta nel considerare i limiti di accettabilità’.
Numerosi studi hanno tuttavia evidenziato una correlazione tra esposizione acuta a particolato fine e sintomi respiratori, ricoveri in ospedale e mortalità per malattie respiratorie e problemi cardiovascolari, mentre l’esposizione prolungata nel tempo, già a partire da basse dosi, è associata all’incremento di mortalità per malattie respiratorie e di patologie quali bronchiti croniche, asma.
È dunque evidente che per Taranto, in riferimento alla maggiore pericolosità dei PM10 e PM2,5, considerando la maggiore vulnerabilità della popolazione, e ricordando che l’obiettivo finale è la produzione di 8 milioni di t/a di acciaio, l’unica soluzione possibile è evitare l’esposizione della popolazione.
La soluzione più immediata è stata indicata dal Tar Lecce che ha imposto la chiusura dell’area a caldo dell’ex Ilva. In attesa del verdetto del Consiglio di Stato, che ha sospeso gli effetti della sentenza del Tar, occorre dunque puntare ad un unico obiettivo: fermare l’ex Ilva.