Sono Tina Bianco e Tina Spalluto, le due donne esperte di assistenza domiciliare a persone con fragilità che nel 2016 al termine di un appalto del Comune di Taranto, alla cooperativa sociale Nuova Luce, ebbero il coraggio di denunciare una ingiustizia che a quanto pare è diffusa in quel settore.
Tina Bianco aveva denunciato condizioni di violenza gravi all’interno della casa del suo assistito e temeva persino per la sua stessa incolumità fisica. Denunciò l’accaduto e lo segnalò alla cooperativa per cui prestava servizio e per tutta risposta il suo monte ore, nonché il suo stipendio, diminuirono.
Tina Spalluto fu costretta, invece, a vivere un doppio lutto: veder morire una persona che quotidianamente andava ad assistere in casa, e veder morire i suoi sogni di stabilità economica. Pagò infatti la “perdita di un cliente” per la sua azienda, con l’abbattimento di quasi 10 ore del suo monte ore e la drastica contrazione delle sue spettanze mensili.
Parliamo di stipendi già indegni di questo nome. 300, 400 euro mensili, a fronte di un lavoro che consiste nell’entrare in contatto con persone fragili. Fragilità contro fragilità, che però una sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Taranto, lo scorso 4 febbraio, ha reso meno deboli.
Il giudice ha infatti condannato la cooperativa sociale a pagare le differenze retributive alle due dipendenti che nel corso dell’appalto, durato dal 2013 al 2016, si erano viste cambiare unilateralmente l’orario di servizio previsto dal loro contratto.
La sentenza ha una valenza si economica – dice l’avvocato Luca Bosco – ma soprattutto è importante perché afferma un principio chiave: il datore di lavoro non può scaricare sui lavoratori il proprio rischio di impresa.
Insomma il giudice con questa sentenza segna uno spartiacque – come afferma Tiziana Ronsisvalle, della FP CGIL di Taranto – tra una prassi consolidata all’interno delle cooperative sociali del terzo settore e il diritto dei lavoratori di vedersi riconosciuto invece quanto previsto dal contratto di lavoro.
Un modus operandi, che sempre secondo l’esponente sindacale, “veniva utilizzato in modo unilaterale a volte anche in termini punitivi nei confronti dei lavoratori che provavano a denunciare o chiedere conto di pratiche poco chiare”.
Una sentenza epocale anche per il segretario generale della CGIL di Taranto Paolo Peluso, “se si considera che la decisione del giudice interviene in un settore dell’assistenza individuale, che dal punto di vista delle regole e dell’applicazione delle norme contrattuali è spesso border line.
Il meccanismo dell’appalto in settori così delicati – dice ancora Peluso – non consente un controllo nell’interesse pubblico, dei lavoratori e dei cittadini assistiti, ma garantisce solo un interesse di impresa.
Non è possibile che i servizi alla persona, ai più deboli, vengano trattati con questa superficialità, considerato che le risorse sono pubbliche – dice Lorenzo Caldaralo, segretario generale della FP CGIL – e di fronte a denaro pubblico occorre preservare non solo la dignità degli assistiti, la qualità del servizio reso loro, ma anche la dignità di lavoratori che spesso sono costretti ad operare in condizioni di estremo disagio, oppure eternamente ricattati. Ecco perché pensiamo che questo genere di attività, così come quella del servizio di igiene ambientale, vadano rese di servizio pubblico e non affidate al mondo del privato. E’ una battaglia a cui questa sentenza da il suo importante contributo.