Ci separano poche ore ormai dal nuovo accordo con cui lo Stato entrerà nella compagine societaria dell’ex Ilva. Iniziano a trapelare le prime indiscrezioni sulle modalità, con una partecipazione al 50% che potrà via via aumentare. Riguardo al piano ambientale, invece, le solite dilazioni e deroghe, mentre sono sparite le parole “green” e “idrogeno” dai proclami del Ministro Patuanelli. Diremmo anche giustamente, dal momento che si trattava di proposte irrealizzabili e che la produzione del siderurgico proseguirà, sostanzialmente, come prima e cioè a carbone. Poco importa per gli enormi danni che procurerà ancora alla nostra comunità e al nostro territorio. Anzi peggio, visto che si intende aumentarla a 8 mln di tonnellate all’anno! Tutto questo perché negli anni scorsi, per salvare l’Ilva, i governi che si sono succeduti hanno chiesto aiuto alle banche. Quest’aiuto è stato concesso da Banca Intesa, Unicredit e Banco Popolare con quasi 1,7 miliardi di euro. I governi hanno garantito la loro restituzione attraverso una delle leggi salva-Ilva che oggi condanna la nostra città. I crediti bancari sono addirittura stati considerati come prioritari rispetto a quelli vantati dall’indotto locale su commesse mai pagate dai Riva. Ciò significa che lo Stato italiano ha assoluto bisogno di ricavare soldi da un partner privato che ne compri le quote per continuare a produrre. Diversamente non ci sarebbe il modo di rifondere le banche dei soldi investiti. E’ questo il motivo per cui la chiusura della fabbrica ed il risanamento del territorio non vengono neppure presi in considerazione, nonostante non ci sia più neanche un motivo per salvarla: non solo motivi ambientali e sanitari, ma anche, com’è ormai chiaro, economici e occupazionali. Produrre 8 milioni di tonnellate all’anno di acciaio significherà produrre più di quanto il mercato abbisogna, motivo per cui questo nuovo accordo costituirà una nuova bolla destinata a scoppiare nei prossimi anni, allungando l’agonia del nostro territorio. Ma che importa, tanto sarà un problema che ricadrà sui governi successivi… Per tutto questo chiediamo che il Governo ci ascolti prendendo in considerazione la voce della città. E che Regione, Provincia, Comune e parlamentari tarantini si oppongano, con decisione e senza più ambiguità, a questi intendimenti. Senza più timori reverenziali rispetto ai diktat del PD nazionale, mosso dagli interessi bancari che ci sono dietro a questa scellerata operazione… I fondi europei e i miliardi che si intendono ancora sperperare sulla fabbrica vengano usati per risanare il territorio, tutelare i lavoratori e riconvertire Taranto! Venga fatta, una volta e per tutte, giustizia per Taranto!