Il Movimento Cinque Stelle ha fatto della chiusura dell’Ilva di Taranto il suo cavallo di battaglia, tanto da portare in Parlamento espressioni del territorio motivate da questa lotta che si è poi rivelata un nulla di fatto. L’ennesima promessa campata in aria, nell’aria insalubre di una città che, secondo il Governo mangione, dovrebbe rassegnarsi al suo destino: il maledetto acciaio.
Arcelor Mittal minacciava di riconsegnare tra qualche giorno, il 30 novembre, le chiavi di uno stabilimento sgangherato. In suo soccorso arriva il Governo, che, con il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, propone un piano per una nuova Ilva.
Un accordo dunque, tra Governo e Mittal, che vede lo Stato presente nella misura del 50%, fino al 2022. Si prevede una produzione pari a 8 tonnellate annue, decarbonizzazione con preridotto e forni elettrici, ristrutturazione degli impianti compreso altoforno 5 e – dicono loro – riduzione dell’inquinamento.
L’acciaieria 1 si prepara a ripartire dalla fine di gennaio 2021, ma sull’area a caldo, ancora un grosso punto interrogativo.
Insomma una nuova “ricetta” con un bel mix di altoforno, preridotto e forni elettrici. Risultato? Veleno.
Il nuovo piano fa discutere. Non piace al sindaco di Taranto che ha rivendicato (giustamente) voce in capitolo prima di formalizzare qualsiasi accordo e non piace all’Eurodeputata del Movimento Cinque Stelle Rosa D’Amato che, con uno studio mirato condotto dagli esperti dell’Osservatorio Tri.0, ha dimostrato che il nuovo piano non solo non diminuisce l’inquinamento, ma lo aumenta e in maniera non tollerabile per la città, con un aumento superiore al 25% del PM2,5 rispetto alla situazione attuale. Inoltre -, come sottolinea l’Europarlamentare D’Amato – si registrerebbe un innalzamento delle emissioni per nichel, cadmio (più del 100%) e IPA (58%).
«Il governo ascolti il territorio prima di avallare qualsiasi nuovo piano» dice Rosa D’Amato.
Ma da un Governo, anzi, un susseguirsi di governi che il territorio lo hanno preso in giro, non ci si può aspettare inclusione e coinvolgimento su un progetto che ha quale obiettivo primario il profitto, a scapito della salute dei tarantini. E’ sempre stato così, continuerà ad essere così.
Avevamo un Luigi Di Maio che parlava di chiusura e riconversione, mentre le piazze tarantine pullulavano di disperazione e rabbia, rabbia di chi è stato messo in condizione di dover scegliere cosa fosse meglio tra il tozzo di pane e la chemio. E di riconversione abbiamo avuto solo quella di Di Maio, nel senso che ha cambiato idea: adesso l’Ilva non va chiusa.
«Nel 2018 le colpe erano del Governo precedente, si parlava di “delitto perfetto”. Oggi però, la pistola fumante è in mano all’attuale Governo, precisamente nelle mani del Ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli, che fa parte e non ho paura di dirlo, del Movimento Cinque Stelle. La verità – dice D’Amato – è che l’area a caldo va chiusa. E nessuna ipotesi di revamping dello stabilimento può realizzarsi senza una Valutazione di impatto ambientale, finora mai ottenuta dallo stabilimento siderurgico, con relativa Valutazione di impatto sanitario, in accordo con quanto previsto dalla direttiva 2014/52/UE. Le alternative ci sono – conclude -, sono convinta che Taranto, dopo la chiusura possa vivere una riconversione economica che potrebbe risollevarla una volta per tutte».
Intanto i dati parlano chiaro e la D’Amato sfida chiunque a confutarli. Lo studio si basa sulla simulazione di cinque scenari di emissione, partendo dalla situazione attuale (scenario 1) fino alle diverse paventate dal nuovo piano del Governo. Le stime effettuate nel dossier provengono da documentazione EPA. Ogni scenario mostra la quantità di emissioni di inquinanti nell’aria in base ciclo produttivo.
Le simulazioni sono state fatte su: produzioni con ciclo integrale, con forno elettrico, ciclo Midrex a Metano, produzione di preridotto mediante ciclo a carbone (Corex/Finex).
Lo studio evidenzia come dallo scenario 1, che prevede, sulla base di quanto autorizzato attualmente con il piano ambientale, una produzione annua di 6 tonnellate esclusivamente con ciclo integrale, si passi man mano a scenari peggiori per quanto riguarda l’emissione di sostanze cancerogene nell’aria, sia aumentando la produzione che alternando i cicli. Il pericolo rilevato risulta addirittura sottostimato, a causa di parametri non calcolabili.
E’ ben chiaro dunque, come il nuovo piano Ilva sia ben peggiore di quello in atto.
L’Arpa Puglia già nel 2017 evidenziò che “livelli produttivi superiori a 6 milioni di tonnellate di acciaio espongono la popolazione residente nelle vicinanze dell’impianto, nell’area di massimo impatto, ad un rischio cancerogeno inalatorio non accettabile”.
Nel marzo di quest’anno il Ministero dell’Ambiente ha confermato la valutazione dell’Arpa.
Dunque, come rileva Rosa D’Amato e lo studio presentato, alla luce delle valutazioni dell’Arpa avallate dal Ministero dell’Ambiente, “non è accettabile” aumentare la produzione oltre 6 milioni di tonnellate.
Tra l’altro, come si rileva sempre nello studio dell’Osservatorio Tri.0, la modifica dell’assetto produttivo e l’inserimento di forni elettrici e reattori per la pre-riduzione farebbe scattare l’obbligo del riesame dell’AIA esistente, ma soprattutto una Valutazione di Impatto Ambientale (finora mai ottenuta dallo stabilimento siderurgico), con relativa Valutazione di Impatto Sanitario in accordo con quanto previsto dalla direttiva 2014/52/UE.
Ancora, gli esperti dell’Osservatorio ritengono dia d’obbligo effettuare una Valutazione di Incidenza, essendo lo stabilimento posto nelle adiacenze di aree tutelate dalla direttiva europea “Habitat”.
«È chiaro – ha detto la D’Amato – che dalle mosse del Governo dipenderanno le mie scelte politiche».
Ma quanto potrà mai interessare tutto ciò a chi antepone gli interessi economici alla salute dei cittadini?