Gentile direttore,
Mi rivolgo a Lei (chiedendoLe di tutelare la mia identità viste le recenti disposizioni della mia Amministrazione sull’uso dei social) perché è una giornalista particolarmente vicina, attenta e preparata in materia di sicurezza.
Sono un agente della Polizia di Stato, ho poco più di 30 anni, sono pugliese, con 10 anni di servizio e per l’Amministrazione sono allo stesso tempo, troppo giovane e troppo vecchio per realizzare la mia carriera lavorativa e la mia vita privata, due realtà inevitabilmente correlate. Come ogni poliziotto ho iniziato la mia missione lasciando le persone care per servire lo Stato e la collettività, in una città troppo lontana per poter garantire la mia presenza ai miei affetti, anche per i soli giorni di riposo. Un sacrificio che con il tempo diventa sempre più pesante, i genitori invecchiano e non si può essere “da bastone” di sostegno come è giusto che un figlio diventi ad un certo punto della vita. Oggi, scelte di questa amministrazione, hanno tradito ogni sacrificio fatto, permettendo che una percentuale del 30% di giovani agenti appena arruolati, sia destinata in quelle città dove per anni ho atteso e sperato di poter andare, scavalcandomi, facendo sfumare definitivamente ogni speranza di tornare nella mia città natale come speravo accadesse nell’ottica di incrementi ragionevoli del personale. Ad esempio, a Brindisi sono stati assegnati ben 19 nuovi agenti. Per questa Amministrazione alla mia età, sono diventato troppo vecchio per poter chiedere di lavorare nella mia città. Sono, al contrario, troppo giovane quando partecipando ai concorsi banditi come previsto dal riordino delle carriere, il mio titolo di laurea non viene riconosciuto come punteggio mentre, lo stesso riordino ha permesso di ricostruire in pochi anni, le carriere a colleghi che giustamente hanno atteso troppo, ma che domani saranno già in pensione. Devo aspettarmi questo anche io? Diventare anziano e progredire in carriera?
Scrivo ciò con l’auspicio che queste mie parole siano un appello nei confronti di chi oggi è attento al benessere del personale: non siamo numeri, anche noi abbiamo bisogno di tutele per poter realizzare la nostra vita, professionale e non, avere il diritto a una famiglia unita! Spesso mi chiedo se il prezzo da pagare per questo lavoro sia davvero quello di un futuro incerto e pieno di ostacoli quotidiani, sempre troppo grandi da affrontare per un lavoratore a cui viene data tanta responsabilità, tanti oneri e a cui viene riconosciuto molto poco rispetto al sacrificio quotidiano.
Proprio oggi, il Capo della Polizia parlava dell’immoralità delle 4 euro per un’ora di straordinario! Si rischia la vita al costo di una pizza!
In fondo non credo di meritare questo “limbo”, non credo che si possa fare due pesi e due misure tra stessi colleghi, chi più fortunato e chi totalmente lasciato a piedi.