Qualche giorno fa, il 26 novembre è stato l’anniversario della nascita di un sacerdote singolare, don Luigi Sturzo, avvenuta nel 1871 ed è sempre attuale e illuminante il suo pensiero.
La scuola gli interessava più di ogni altro ramo dell’amministrazione” aveva scritto nel 1957 don Luigi Sturzo. “La scuola come spazio di democrazia autenticamente vissuta (nell’amministrazione, nei programmi, nelle nomine e nella funzione degli insegnanti)” scrive Umberto Chiaramonte nella premessa del suo libro dal titolo “Necessaria in democrazia”, libro pubblicato nel 2009, di cui riproponiamo la lettura.
Sturzo si è trovato a vivere da protagonista quasi tutte le questioni nodali della storia della Istituzione scolastica a tal punto che il libro risulta essere la storia della scuola italiana dalla fine dell’Ottocento e nel contempo la storia del sacerdote e della democrazia culturale e quindi sociale e politica, che è efficace solo se c’è l’educazione basata sulla conoscenza della vera verità.
La scuola che risponde al desiderio di proporre una visione dell’uomo e della società, non per imporre delle soluzioni ma per confrontare le nostre aspirazioni e le nostre scelte a quelle di altri, concretizzando certi principi e valori, senza creare contrapposizione tra laici e cattolici.
Una scuola ed una educazione per essere competitivi in una società aperta al bene comune. Per essere sempre presenti da cittadini liberi, desiderosi di esserlo, come soggetti responsabili ed artefici, nella creazione di una società migliore nella promozione della persona.
In opposizione ad una convinzione che vede lo stato, e non solo ma anche qualsiasi altra entità precostituita scontata, come unico soggetto che deve indicare tutti gli obiettivi da raggiungere, avendone tutti i mezzi per raggiungerli, eliminando ad ognuno la libertà di scelta e la responsabilità personale, indispensabili per far crescere la persona umana e quindi la società. E in opposizione alla conseguente costruzione di un ordine istituzionale secondo una idea di bassa politica intesa come arte per dominare il prossimo.
Una scuola maestra di vita in cui : ” Il nostro punto di partenza e come mira pratica è il nostro fine. Fra il punto di partenza e il fine vi è uno spazio da attraversare, ed è lo spazio storico dato da Dio agli uomini per i loro esperimenti, i quali saranno sempre un miscuglio di buono e di cattivo, di verità e di errori, di successi e fallimenti” (L.Sturzo, Politica e Morale. Coscienza e politica. In Opera Omnia, serie I, vol IV, p. 326).
Questo è per don Luigi Sturzo ancor più, lo spirito della democrazia che coincide con la nostra vita. Motivo per cui questo principio è sacrosanto e intoccabile, non lo abbiamo deciso noi, ce lo ritroviamo come ci ritroviamo la nostra esistenza e come questa va salvaguardato: è come l’aria che respiriamo, che è altro da sé, ma di cui abbiamo bisogno, che può essere viziata o avvelenata a tal punto da spegnere la nostra vita o annientare i nostri sensi senza che ce ne accorgiamo.
Così anche l’educazione è altro da sé di cui abbiamo bisogno. “Il bambino acquista prima la nozione dell’altro da sé – madre, nutrice, infermiera, il compagno o la compagna di giuoco – che la nozione di se stesso.” (L. Sturzo , I problemi dell’educazione negli Stati Uniti e l’educazione umana, in Opera Omnia, III serie, vol. V).
L’educazione comincia col percepire altro da sé prima della cognizione di se stesso. E poi il bambino diventando adulto continua a percepire che «è altro da sé e non è lui» la causa del suo essere, che «è altro da sé e non è lui» ciò che lo fa vivere attimo per attimo.
E questo «altro da sé» non è lo stato e non dipende dallo stato. Lo stato non è Dio, non è un essere umano. Lo stato deve solo garantire il diritto alla libertà della ragione umana che solo così, con la libera iniziativa può ricercare i mezzi più adatti per la promozione d el l ’uomo e della società.
Ma “La democrazia non si improvvisa; alla democrazia occorre educarsi; gli inconvenienti che si incontrano nelle continue esperienze democratiche, si superano con la buona volontà, studio e perseveranza. La critica è perciò utile e deve essere fatta all’a per to. ” (L.Sturzo, Politica di questi anni. Consensi e critiche. In Opera Omnia, serie II, vol. XII, p. 386).
E Luigi Sturzo comincia subito a percepire quest’aria viziata e ammorbante nella scuola, già da studente diciannovenne, quando ci si pose il problema sulla validità del titolo di studio delle scuole private e dei seminari in particolare.
Anche se Sturzo fu sempre obbediente alla autorità ecclesiastica, la sua posizione fu contraria a quella del vescovo Gerbino, al quale inviò una lunga lettera. Lui criticava la decisione del vescovo di fare effettuare gli esami ai seminaristi presso il liceo statale. Questo perché sostanzialmente snaturava lo spirito del seminario, in quanto la preoccupazione di dare ai seminaristi un diploma statale dava seguito alla tesi che bisognasse non sottrarsi al giudizio degli insegnanti statali, mentre Sturzo “riteneva che i sacerdoti avrebbero potuto fare a meno dei diplomi ufficiali rilasciati dallo stato, per contare, invece, sulla capacità di fare una scuola che facesse concorrenza alla scuola pubblica con la serietà degli studi e con insegnanti preparati.”
Inoltre era contrario anche perché questa preoccupazione di sottoporsi al giudizio dello stato, portava i chierici a non studiare di più, ma a sperare nella buona sorte, (vista la tendenza dei professori statali “a schiacciar l’opera delle scuole private”) mentre temevano di più la valutazione dei propri insegnanti.
Non meno importante risultava per lui la conseguenza che snaturava il seminario, la cui essenza era legata alla vocazione sacerdotale: l’acquisizione del diploma statale portava alcuni in seminario non per vocazione ma per comodità.
Ma anche quando divenne docente nel seminario continuò nel suo atteggiamento di “critica utile fatta all’aperto”, impegnandosi con schemi, appunti, sunti, commenti, con un metodo concreto e pragmatico e non da presuntuoso nonostante insegnasse letteratura, storia, etica, diritto ed economia politica, sociologia, filosofia e psicologia.
Tuttavia il suo impegno venne frustrato dal conservatorismo e venne considerato anomalo per cui nel 1902 venne esonerato dal rettore del seminario. Ebbe comunque riconosciuto il suo atteggiamento di apertura al mondo nuovo dallo stesso vescovo Mons. Gerbino da lui osteggiato in precedenza, che lo incaricò di una azione sociale nella città per diffondere il messaggio di una Chiesa aperta, così come appariva nella Rerum novarum di Leone XIII (1891), che colpì profondamente il giovane Sturzo.
L’azione educativa di Sturzo è possibile rilevarla più dai suoi scritti, dalle sue azioni e dai frutti che raccolse impegnandosi su più fronti, come l’autore Umberto Chiaramonte con una minuziosa e opulenta ricostruzione storica mette in evidenza nel libro dopo una estenuante ma proficua azione di ricerca storica.
Sturzo evidentemente è mosso dal principio indelebile che la fede incontrata, poggiata sul fatto concreto e riconosciuto della nascita di Gesù Cristo o ha la pretesa di interagire in modo “originale” con tutto quello che fa parte della propria vita senza nulla escludere oppure è un inutile balzello.”
Si può affermare in conclusione che Sturzo fu un educatore nel senso più ampio del termine ed in modo continuo fino alla morte. L’ultimo suo scritto sull’educazione risale a quattro mesi prima del suo decesso: “L’Istruzione e l’industria ”. “Si tratta del testamento morale sul concetto di libertà che egli assegnava alla scuola italiana di ogni ordine e grado per stimolare le forze politiche e il mondo imprenditoriale a farsi carico della qualità dell’insegnamento.
Agli imprenditori, rivolse infine un ammonimento (ma noi quanto mai oggi approfittando della sua autorevolezza lo faremmo nostro rivolgendolo a tutti, e in primis ai soggetti facenti parte gli organi della scuola essendo quanto mai attuale e prezioso), che dimostra il suo attaccamento particolare al bene dell’Istituzione Scolastica e a quanto ci tenesse a questa. Ricordò che “l’effettiva efficienza vale più di un diploma ottenuto pietatis causa e di scolette di avviamento che non avviano nessuno”.
Vito Piepoli