È un bene che le parti principali, dopo qualche rinvio ed un surreale silenzio dell’azienda, siano tornate a parlarsi, ma molto presto a quel tavolo occorre che siedano enti locali e rappresentanti dei lavoratori e dell’indotto, o saremo in presenza di una messa in scena.
Noi restiamo molto cauti, perché ancora non vediamo alcuna risposta sensata sui paventati esuberi e inoltre perché non si è concretizzato il profondo e puntuale coinvolgimento della comunità locale, che avevamo invocato in occasione del varo del cosiddetto “Cantiere Taranto”.
Sembrerebbe che ArcelorMittal abbia ottenuto subito quello che vuole, e cioè lo stop alle iniziative giudiziarie dei commissari e del Governo, forse una forte incentivazione, mentre per quello che chiede da anni Taranto (una produzione veramente sostenibile, protezione per i lavoratori e le imprese tarantine, compensazioni socio-economiche per la città, bonifiche svincolate dalla gestione dello stabilimento, una valutazione del danno sanitario, per esempio) bisognerà fidarsi, per l’ennesima volta, dello stesso soggetto che ad oggi non ha mantenuto alcun impegno. E, per di più, decifrando il comunicato di Palazzo Chigi, emergerebbe la disponibilità del pubblico a supportare lo stabilimento in questa congiuntura assai negativa, piuttosto che resistere sull’applicazione dell’accordo sindacale di settembre 2018. Noi staremmo molto attenti a non assecondare l’idea di ArcelorMittal di falcidiare la pianta organica.
Sia chiaro, noi sosteniamo ormai l’irrinunciabilità di un contributo pubblico e locale al modello di gestione e conversione della fabbrica, restiamo invece fortemente contrari alla sovvenzione senza garanzie al privato, circostanza che rischia di spostare di poco la catastrofe.
La presenza del pubblico serve a riordinare le priorità di quella produzione, che non possono essere soltanto collegate al profitto e all’equilibrio dei conti. La statistica già riferiva che gli unici casi in giro per il mondo in cui ArcelorMittal (ma questo varrebbe probabilmente anche per gli altri grandi dell’acciaio) abbia mantenuto gli impegni, siano proprio quelli in cui i governi sono intervenuti con un deciso controllo ed una costante pressione sull’attività dell’azienda.
Registriamo, inoltre, che ArcelorMittal ha annunciato di voler correggere il proprio piano industriale, dando ragione a quello che il Comune di Taranto con i suoi tecnici e consulenti sostiene ormai da mesi, cioè che non si è mai trattato del miglior piano possibile. Se pensiamo che ArcelorMittal sia stato tanto solerte nel ricorso contro il riesame dell’Aia richiesto dal Comune di Taranto e dal Ministero dell’ambiente, piuttosto che nella rivisitazione del complessivo piano industriale, capiamo quale direzione opposta agli interessi di Taranto e dell’Italia avesse intrapreso quel gestore e quale inversione ad U sia necessaria ora per risolvere questa crisi.
Ribadiamo a tutti gli interlocutori del tavolo di ieri sera che, questa volta, senza la piena soddisfazione del territorio non si riparte, non c’è prospettiva duratura per quello stabilimento e quella produzione senza un decreto salva Taranto o un accordo di programma che contemperi i bisogni e le aspirazioni dei tarantini con gli obiettivi del gestore. Non possiamo far finta che si sia scherzato, Taranto non si fida e non si accontenta più, Taranto chiede coraggio e risolutezza sulla svolta tecnologica e di governance dell’ex Ilva.
Taranto ora merita un gigantesco piano di agevolazioni ed attrazione di investimenti, capace di generare nuova occupazione e ricchezza a fronte del dazio drammatico pagato al Paese in questo mezzo secolo; se necessario si costringa l’Europa a concedere qui condizioni simili a quelle assicurate in luoghi come l’Olanda, l’Irlanda o il Lussemburgo. Altrimenti il green new deal resterà solo una bella teoria e quel tavolo troverà qui le barricate.
Il Sindaco di Taranto
Rinaldo Melucci