E’ un mestiere difficile, quello di raccogliere la notizia e trasformarla in cronaca scevra da considerazioni personali. E’ il mestiere del giornalista.
Purtroppo, anche a causa di troppi condizionamenti esterni, gran parte dei giornalisti tende a mettere in evidenza solo parte dell’intera notizia, di solito quella che mira alla pancia, omettendo, non sappiamo quanto colpevolmente, quello che solleticherebbe lo spirito critico del fruitore finale.
Ne abbiamo ampia dimostrazione, in questi giorni, quando la notizia riguarda l’azienda multinazionale ArcelorMittal e il sito industriale di Taranto.
La crisi dell’acciaieria tarantina è sotto gli occhi di tutti, ma gli organi di informazione, in particolare quelli di respiro nazionale, puntano tutto su quelli che vengono erroneamente chiamati “posti di lavoro”, sorvolando ingiustificatamente su temi ben più importanti, quali la salute e la salubrità dell’ambiente.
Nessun giornalista racconta che i dipendenti dell’acciaieria tarantina vengono considerati, e non per colpa loro, alla stregua di schiavi. Nessun giornalista richiama la Costituzione italiana che assicura all’individuo un lavoro dignitoso svolto in salute, in sicurezza e in un ambiente salubre. Non esiste un solo giornalista che ponga l’accento sull’articolo 32 della Costituzione, l’unico che, nella sua costruzione, contiene l’aggettivo “fondamentale” quando parla della salute dell’individuo e di interesse della collettività, considerando che il lavoratore resta comunque un individuo che ha come diritto “fondamentale” la salute. Neanche una parola sull’articolo 41 che riconosce, sì, come libera l’iniziativa economica privata, ma che puntualizza anche che questa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Chi, tra gli iscritti all’Ordine dei Giornalisti, ha mai nominato la pari dignità e il principio di uguaglianza riportati nell’art. 3?
Tutto questo è stato ripetuto fino alla nausea dall’associazione Genitori tarantini, durante le interviste concesse anche agli organi di informazione nazionali. Tutto questo, in fase di montaggio del servizio, è sempre stato chirurgicamente evitato. Tutto questo è insopportabile, alla luce dei dati sanitari che i giornalisti conoscono bene e per questa ragione evitano di nominare. Della serie “mai sputare nel piatto da cui si mangia”.
Ci sono, poi, gli opinionisti, intellettuali di questa Italia disastrata. Godono di attenzione non meritata e si affannano a ricercare frasi ad effetto, senza alcuna idea di ciò che stanno dicendo.
In questo campo, Vittorio Feltri sembrerebbe essere maestro. Lui ha dichiarato che “morire di fame oggi è peggio che morire di tumore domani” (15/08/2012) e che è “meglio rischiare il cancro che morire subito di fame” (16/08/2012). E ancora “La vertenza Ilva di Taranto è paradossale. Si dice che alcuni operai dello stabilimento morissero di tumore. Può darsi. Ora che l’azienda chiude tutte le maestranze moriranno di fame. Però, che affare” (24/10/2019).
Cosa possiamo rispondere a simili intelligentissime deduzioni? Ha provato, il dottor Feltri, sia la fame che un qualsiasi tumore per poter affermare cosa sia meglio? Ha provato, il dottor Feltri, a pensare che chi viene colpito dal cancro, quando questo prende il sopravvento, negli ultimi giorni di vita (vita?) non mangia più, al punto che i parenti si chiedono, infine, se il proprio congiunto sia morto di tumore o di fame. Dobbiamo richiamare all’attenzione del dottor Feltri le percentuali di mortalità, morbilità, malattie che colpiscono i bambini di Taranto o vogliamo considerarle, come lui probabilmente le considera, scarti di produzione o perdite di esercizio? Probabilmente, tutto questo sarà materiale per una diretta risposta a Vittorio Feltri.
Alle farneticazioni di Giuliano Cazzola abbiamo già risposto. Al signor Nicola Porro e alle sue dichiarazioni offensive ci riserviamo di rispondere.
Chiediamo all’Ordine dei Giornalisti di richiamare TUTTI gli iscritti affinché vengano presentate ai fruitori finali tutte le sfaccettature dell’affaire industria siderurgica, mirando alla pari dignità di ogni dichiarazione, senza preconcette censure. Chiediamo, una volta per tutte, che, quando si parla di occupati in quell’industria, raddoppiati a convenienza, si dica chiaramente che non sono tutti abitanti di Taranto, si diano i numeri precisi. E si elenchino anche le opportunità perdute per tenere in piedi quella fabbrica fatiscente che carica di malattie e morte i tarantini per poter inviare il prodotto alla laminazione in fabbriche del nord, senza rischi per la salute di quelle popolazioni. Si racconti, infine, al popolo italiano, quello che più fa male. A Genova, la produzione a caldo è stata chiusa per sempre perché altamente nociva per la popolazione e i dipendenti. La stessa produzione, a Taranto, è stata dichiarata dal Governo “strategica per la nazione”. Ogni italiano dotato di capacità critica capirà di cosa si sta parlando.
Grazie per quello che farete a favore della verità e della giustizia. Grazie per quello che farete per onorare il vostro mestiere