- Quando ha capito di voler diventare un direttore d’orchestra?
In principio fu la “ Sinfonia Jupiter” di Mozart. Avevo diciott’anni. Affrontavo per la prima volta l’analisi di una partitura e rimasi affascinato dalla sua complessità. La più grande sfida della mente nel campo della musica. Un’emozione per me forte e illuminante. Vi coesistevano due componenti fondamentali ai miei occhi: da un lato la laboriosità dello studio di per sé stesso e dall’altro la ricchezza di possibili sfumature interpretative ed emotive.
- “La Messa da Requiem in re minore K626” di W. Mozart è l’ultima opera del compositore. Dal suo primo ascolto alla sua direzione di oggi di questa pagina cosa è cambiato per lei?
Il Requiem di Mozart ha suscitato in me una forte emozione sin dal mio primo ascolto e dalle prime note. Questa emozione non è per nulla scemata nel tempo, anzi. La maturità musicale ed emotiva che consegue alla crescita personale e professionale, non ha fatto che aumentare il mio interesse per quest’opera. Quello che mi ha sempre colpito di questa composizione è come riesca a commuovere sin dall’inizio con armonie e tecnica compositiva tanto lineari quanto al contempo geniali.
- Questo è il suo primo incontro con l’Orchestra Magna Grecia, ma lei di primi incontri con orchestre nella sua vita ne ha avuti tanti, è vero che è il momento più delicato per instaurare un rapporto di collaborazione proficua?
Il mio primo incontro con l’orchestra è sempre dedicato all’ascolto, all’individuazione delle capacità tecniche dei singoli musicisti e dell’orchestra nel suo insieme, e successivamente all’instaurazione di un rapporto in base alle qualità umane dei loro componenti. Ma in primis, la prima parola spetta alla bacchetta.
- I concerti a Taranto e Matera rientrano nell’ambito del Mysterium Festival, un cartellone che ruota intorno ai temi della fede e della passione. La musica sacra rappresenta un punto di arrivo di molti grandi compositori. Quale evoluzione riconosce nella musica sacra della nostra epoca rispetto al Requiem di Mozart?
Vi è una linea di continuità che lega i maestri del passato ai compositori di oggi: il desiderio di affrontare i grandi temi quali il sacro, i misteri della vita e dell’universo. Va da sé che, nel tempo, la musica sacra – intesa come accompagnamento all’azione liturgica – è stata interpretata secondo la spiritualità sentita in ogni preciso momento storico. Quindi l’interpretazione di ciò che ricade nel sacro è stato sempre oggetto di profondo dibattito all’interno della Chiesa. Si pensi al dibattito di fine Ottocento a Parigi, ai tempi in cui Rossini componeva la sua Petite Messe. Vi erano movimenti di pensiero che si esprimevano per un’innovazione nella direzione della grande orchestra sinfonica e dell’introduzione di temi tipici del mondo dell’opera.
Da ultimo, il Concilio Vaticano del 1963 ha riconosciuto il canto gregoriano come “canto proprio della liturgia Romana… gli si riservi il posto principale ”in quanto esprime concetti teologici”. Per ciò che concerne gli altri generi, e specialmente la polifonia, sono tenuti a rispondere allo spirito dell’azione liturgica.
Attualmente non sono molti i compositori che si cimentano in un campo così complesso. Conciliare la struttura e i tempi rigidi inerenti la funzione della Musica Sacra con l’evoluzione della musica contemporanea ha messo un po’ in disparte questo genere di composizione. Ciò non toglie che alcuni maestri del XX secolo come, ad esempio, Arvo Pärt nella sua” Berliner Messe” (1990), siano stati in grado di applicare una tecnica loro propria – nel caso di Part si tratta della tintinnabuli tecnique – raggiungendo dei risultati del tutto originali e interessanti.