L’imponente manifestazione unitaria del 9 febbraio u.s. conclusasi in piazza San Giovanni a Roma, la cui altissima partecipazione di lavoratori, pensionati, giovani, donne, intere famiglie persino, è già consegnata agli annali della storia sociale italiana, non solo non merita si essere derubricata a mera routine sindacale come sembrerebbe orientato a fare l’Esecutivo Conte, che non ha ancora convocato sui temi proposti i vertici di Cgil Cisl Uil; ma ha fornito al Paese uno spaccato delle forti rivendicazioni e dei bisogni sociali che interpellano tutti i livelli istituzionali dal centro alla periferia, fino a quelli europei.
A cominciare dal tema occupazione, che è impossibile come è noto creare per decreto se non, invece, mediante grandi investimenti pubblici e privati, a cominciare dallo sblocco delle grandi opere infrastrutturali; insomma, l’esatto contrario di quella logica pressoché assistenzialistica sottesa al Reddito di cittadinanza la cui farraginosità di applicazione, oltretutto, non sposterà né i consumi degli italiani, né il Pil del Paese.
Questo provvedimento ha carattere ibrido tra contrasto alla povertà e misure di politiche attive.
Nel frattempo, prendiamo atto della forte sofferenza sociale della fascia di età dai 25 ai 34 anni, se hanno senso le proiezioni Istat – pubblicate di recente – che con dati aggiornati a dicembre 2018 certificano la risalita, dopo due mesi di calo, dei contratti di lavoro a tempo determinato (+1,5%) ma, anche, la contrazione di quelli a tempo indeterminato (-0,2% pari, meno 35mila unità in un solo mese), riscontrando, per tale arco temporale, effetti contrari a quanto sbandierato dal Governo dopo il Decreto dignità.
Il Paese, il Mezzogiorno, Taranto e Brindisi in particolare, hanno bisogno di una visione stabile di futuro e di progetti consistenti di media-lunga prospettiva, creando opportunità occupazionali in loco, perché sarà questo l’unico modo per agevolare ed aiutare le persone in difficoltà ed i giovani che, legittimamente, vogliono costruirsi una speranza di vita qui, senza dover necessariamente emigrare.
Quanto alla fascia dei pensionati, nel 2017 risultavano essere 16 milioni ( meno 23mila rispetto al 2016, meno 738mila rispetto al 2008) con un reddito lordo medio di 17.886 euro laddove le pensionate donne, che sono il 52,5%, ricevono e in media importi annui di meno 6mila euro circa rispetto agli uomini.
Oltretutto, ancora con riferimento ai pensionati l’Istat rileva il continuo ampliarsi delle differenze territoriali, con l’importo medio delle pensioni nel Nord-Est del +20,7% rispetto al Mezzogiorno.
Le famiglie di pensionati del Sud presentano quindi, un rischio di povertà maggiore di quello delle famiglie residenti al Nord e al Centro.
Oltremodo evidente risulta, inoltre, il combinato disposto tra assenza di politiche familiari adeguate e un sistema fiscale nazionale – gravato dai sistemi tariffari pubblici regionali e locali – iniquo che impoverisce i nuclei determinando condizioni di emergenza che andrebbero risolte immediatamente.
E sempre in materia di politiche familiari, grande è anche il problema della denatalità, atteso che la fecondità misurata lungo le varie generazioni femminili, non ha mai smesso di calare.
Attualmente il numero medio di figli per donna è di 1,32 mentre l’età media del parto continua a crescere, toccando per la prima volta, in Italia, la soglia dei 32 anni.
Tali processi, che destano preoccupazione sociale per il futuro del paese, vanno rubricati come fenomeno della denatalità nel nostro Paese che, in controtendenza con un passato, non molto lontano, oggi viene ad accentuarsi anche nel Mezzogiorno.
Problema ancora una volta, sottovalutato e dimenticato e trascurato dalla politica ai vari livelli, a cui chiediamo grande attenzione ai vari livelli istituzionali.
Questa parte del Paese, è ignorato nella Legge di Bilancio 2019, come ribadito in piazza San Giovanni, mentre sarebbe necessario, in queste aree, investire in infrastrutture materiali e immateriali stanti le peculiarità possedute e non del tutto valorizzate, sia economiche che industriali, siderurgiche, meccaniche ed aerospaziali, agricole, turistiche, energetiche, chimiche, farmaceutiche, logistiche, geografiche, storiche.
Una valorizzazione di cui beneficerebbe appunto, l’intero Paese, evidentemente, salvo le improvvide e forti spinte delle ricche Regioni, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna che, rivendicando una artificiosa autonomia, andrebbero a dividere, ancor di più, le connessioni economiche interne e far venire meno solidarietà, coesione e condivisione poste a fondamento della Costituzione Repubblicana.
Da piazza San Giovanni si è levato il grido forte e chiaro da Cgil Cisl Uil, per chiedere al Governo di cambiare immediatamente registro e di rimuovere atteggiamenti improntati ad una sorta di campagna elettorale continua che, nei fatti, sta minando la credibilità internazionale di un’Italia a rischio di isolamento anche sulla ribalta mondiale.
Scuola, formazione, legalità, sanità, infrastrutture, grandi opere, con un rilancio del manifatturiero made in Italy, in particolare con l’industria, il chimico, il tessile, l’edilizia, il commercio, l’agricoltura, con tutti i servizi connessi, la salvaguardia del territorio e dell’ambiente essendo l’Italia uno dei Paesi europei con più elevata predisposizione al dissesto per le peculiari caratteristiche geologiche, morfologiche e di uso, appunto, dei suoi territori: sono stati altri temi sensibili proposti, su cui il Governo è chiamato ad un dialogo sociale non solo di livello nazionale ma anche regionale e territoriale, cosa di cui i cittadini che lo hanno votato iniziano a prendere compiutamente atto.
Ridiscende esattamente da questo intreccio di temi la nostra insistenza per quanto riguarda l’area di crisi di Taranto e di Brindisi per la ripresa del confronto con le parti sociali, economiche e le Istituzioni locali con l’Esecutivo Conte per portare a compimento i tavoli avviati (per Taranto il Contratto istituzionale di sviluppo; per Brindisi l’istituzione già prefigurata dal precedente Governo di un Tavolo interistituzionale per lo sviluppo); così come ci aspettiamo un’accelerazione per la definizione delle due aree Zes pugliesi che potrebbero rilanciare realmente queste straordinarie aree, con due porti e due aeroporti, con vocazioni diverse, ed insediamenti produttivi tra i più importanti del Paese e d’Europa.
Per condividere progetti di cambiamento e di futuro per andare oltre la crisi è necessario non perdere altro tempo; occorre lavorare insieme con le istituzioni, la politica, con tutti gli attori economici e sociali presenti sul territorio attraverso la partecipazione e la corresponsabilità per restituire speranza alle tante donne, ai tanti uomini, lavoratrici e lavoratori, anziani e giovani di questa parte del Paese ancora in sofferenza.
Antonio Castellucci
16 febbraio 2019