“Una enorme discarica abusiva di svariate tonnellate di rifiuti industriali derivanti dalle lavorazioni degli impianti del polo siderurgico quali loppa, scorie d’altoforno e altro che, esposti all’azione degli agenti atmosferici, hanno riversato nei terreni e nell’ambiente circostante, sostanze altamente tossiche e cancerogene come diossine, furani, pcb, idrocarburi e metalli vari.”
E’ la conclusione a cui sono giunti i Carabinieri del NOE dopo aver verificato la composizione delle cosiddette “collinette ecologiche”, quelle che dovevano rappresentare una sorta di barriera fra lo stabilimento ex ILVA, oggi ArcelorMittal, ed i cittadini che popolano il quartiere a ridosso dello stesso. E’ la fredda descrizione dei fatti che ha indotto la Procura presso il Tribunale di Taranto a far scattare il sequestro preventivo di un’area di circa 90.000 metri quadrati. E’ la diagnosi che ribadisce ancora una volta di più come nella città ionica l’emergenza ambientale e sanitaria sia un fenomeno permanente.
Le inchieste avviate negli anni scorsi e sfociate nel maxi-processo che vede tuttora il colosso siderurgico sotto accusa per reati gravissimi in materia di inquinamento non sono bastate ad indurre chi gestisce la più grande acciaieria di Europa al rispetto della legge. Gli accertamenti investigativi che hanno scoperto questo ennesimo sfregio alla città di Taranto sono partiti nella seconda metà del 2018 ed hanno fatto leva sugli esiti delle analisi svolte dall’Agenzia regionale protezione ambiente della Regione Puglia. In poche parole, secondo i tecnici, quelle “collinette” (tre in tutto, di proprietà dell’ILVA in Amministrazione straordinaria) non sono servite per il loro reale scopo e cioè porre un argine fra gli effetti della lavorazione industriale ed il diritto della popolazione a respirare aria pulita. Sono state utilizzate dai responsabili dell’accaduto per “liberarsi” di una quantità enorme di rifiuti nocivi il cui regolare smaltimento avrebbe comportato un costo economico rilevantissimo. Ma mai paragonabile al costo umano che per l’inquinamento un territorio come quello tarantino sta sopportando da decenni.