Quando conobbi Elisa Springer, una figlia adottiva della mia natia Manduria, pensai subito che il senso di quella presenza e del suo ricordo e del suo racconto, aveva il sapore di tale mia convinta asserzione.
Era carne viva di un tempo malato che negazionismi oltraggiosi e dolorosi avevano tentato di cancellare, anche confidando nel “Silenzio dei vivi”: quei sopravvissuti che avevano deciso di allontanarsi dall’orrore perché troppo difficile anche solo da ricordare.
Elisa aveva tenuto questa paura per se in lunghi interminabili anni lontano dalla sua Vienna, ma quando i suoi occhi e la sua memoria stavano per spegnersi, seppe ritrovare l’orgoglio della sua storia per raccontarla al mondo non solo nel Giorno della Memoria, ma sempre.
Elisa è l’esempio consumato a pochi passi da noi di come l’orrore non sia mai troppo lontano per sentirsene difesi o immuni abbastanza.
L’orrore è in chi ancora nega, in coloro che disseminano l’odio razziale, nelle vergogne di quegli Stati che per segnarne i loro confini alzano i “muri del XXI sec.” e del Mar Mediterraneo ne han fatto una “tomba”.
Quell’orrore che il popolo ebraico consumò nel dolore di famiglie spezzate, umiliazioni, difficoltà e morte oggi è presente più che mai e ferisce in pieno volto chi fugge dalla guerra, chi fugge dalla fame e dai mille altri luoghi del mondo persi in guerre senza nome.
Elisa racconta del suo ritorno in quella casa che fu sua a Vienna così: “La prego, mi conceda un attimo di pietà, non mi cacci via, so che per lei è difficile, ma mi faccia entrare, mi faccia guardare un attimo nel mio passato… Alle pareti c’erano ancora dei quadri di famiglia, i nostri quadri. La mia famiglia appesa a un muro. I miei occhi, gonfi di lacrime, si sono posati su un quadro in particolare. La signora, sulla porta, ha seguito il mio sguardo e mi ha concesso di toglierlo dalla parete e portarlo via con me” (E. Springer, op. cit. pp.113-114).
Quel quadro della memoria mi piacerebbe fosse appeso in ogni casa!
On. Ludovico Vico
27gennaio2019