Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono le tre regioni italiane che producono la metà della ricchezza nazionale. Esse valgono il 40,5% del Pil nazionale e rappresentano il 54,5% dell’export nazionale. Il reddito per abitante è mediamente di 38.200 euro in Lombardia, di 35.300 euro in Emilia Romagna e di 33.100 euro in Veneto. Il tasso di occupazione in Lombardia e Veneto è del 67%, in Emilia Romagna del 70,5%. In Puglia e in Campania, invece, il reddito procapite è, rispettivamente di 18.000 euro e di 18.200 euro annui (dati fonti Istat).
Secondo l’articolo 53 della Costituzione italiana: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Sempre la Costituzionale, all’articolo 119, chiarisce: “[…] La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo (distribuito o attribuito in base a criteri di equità e pareggiamento, ndr), senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. […] Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”.
Stando alla nostra Carta Costituzionale, quindi, a tutti i cittadini italiani, devono essere garantiti i livelli essenziali di prestazioni (LEP) e i servizi concernenti i diritti civili e sociali, attraverso la perequazione e la sussidiarietà, determinati dai fabbisogni e dai relativi costi standard (Costituzione italiana e legge n°42 del 2009).
Il diritto alla salute, all’istruzione, alla mobilità e allo sviluppo e alla coesione economico/sociale del proprio territorio, sono diritti individuali e universali per ogni cittadino italiano, sanciti dalla legge e garantiti dallo Stato attraverso la fiscalità generale ovvero, con la redistribuzione sul territorio nazionale delle entrate del gettito fiscale generale, in base al criterio della succitata perequazione.
Oggi, siamo di fronte alla pretesa, da parte dei presidente delle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, di mettere le mani sui soldi del gettito fiscale delle proprie regioni, appropriandosi del così detto “residuo fiscale”.
Ma cos’è il “residuo fiscale”?
È la differenza fra le entrate fiscali che sono riscosse dallo Stato in una regione e le spese che lo Stato destina a quella stessa regione.
La grandezza del “residuo fiscale” è positiva nelle regioni in cui il reddito medio dei cittadini è più elevato ed è negativo nelle regioni meno ricche o povere, dove i redditi dei cittadini sono modesti, come si evince dai dati Istat.
In Lombardia, ad esempio, il “residuo fiscale” ha segno positivo, con circa 40miliardi di euro, mentre prende segno negativo in Puglia e Campania, dove va sotto di 6miliardi.
Le regioni più ricche, quindi, chiedono di tenersi quanto più gettito fiscale possibile di quello prodotto a casa loro, fregandosene completamente del resto d’Italia e del Mezzogiorno, in contrasto con i criteri di solidarietà sanciti dalla Costituzione.
Stando alle procedure in corso, la richiesta di “autonomia rafforzata” da parte delle tre regioni settentrionali, espropria il Parlamento del diritto/dovere di legiferare su queste materie decisive per il futuro e l’unità dell’Italia.
Si apre così la strada al “Federalismo differenziato”, con maggiori autonomie, risorse e diritti per le regioni ricche, procedura che il Governo avvierà nella seconda metà del mese di febbraio prossimo. Potrebbe accadere, quindi, che lo Stato, invece di costruire asili nido, ospedali o binari, dove mancano, dovrebbe sancire che il fabbisogno per quei territori italiani sia ZERO.
Il “maledetto Sud” verrebbe “finalmente” diviso dal resto d’Italia!
Resta incomprensibile il silenzio delle regioni meridionali e centro meridionali.
Taranto, 15 gennaio 2019